Cosa frena la ripresa e come ripartire
Perchè il Paese resta frenato dall’incapacità di decidere
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 15 febbraio 2015
Finalmente venerdì scorso l’Eurostat, abbandonando il tradizionale linguaggio prudente, ha comunicato che la zona Euro sta uscendo dalla crisi. Non si tratta certo di un rimbalzo forte come quello americano ma il quadro attuale è certamente diverso dal precedente perché le previsioni per l’anno in corso parlano di una crescita media dell’1,3%, nonostante il crollo del mercato russo e l’ancora persistente crisi nei rapporti con la Grecia.
La ragioni di questa ripresa si fondano sopratutto su eventi a tutti noti ma che, fino ad ora, non avevano ancora pienamente esercitato le loro conseguenze positive sulle nostre economie. Si tratta del programma di acquisto di titoli di Stato da parte della Banca Centrale Europea, del forte abbassamento del cambio dell’Euro nei confronti del dollaro ( in parte correlato alla politica della BCE) e del crollo del prezzo del petrolio, anche se negli ultimi giorni vi è stato un processo di leggera, anche se probabilmente temporanea, risalita dei prezzi del greggio.
Questo insperato cumulo di eventi positivi ha finalmente svegliato l’economia tedesca che, nel 2014, è cresciuta dell’1,6%, con forte accelerazione nell’ultimo trimestre. Le previsioni sono ancora più positive per l’anno in corso nel quale l’aumento del PIL germanico supererà largamente il 2%. Non si tratta di una crescita cinese ma certamente di una novità.
Una novità che ha toccato finora in modo molto marginale l’economia italiana, che rimane tra le ultime della classe dell’Eurozona e che, solo nell’ultimo trimestre, ha smesso di calare ed ha raggiunto finalmente lo zero.
Le cose andranno meglio quest’anno: le nostre prospettive di crescita oscillano infatti tra lo 0,5 e l’uno per cento. Personalmente tendo a credere più vicino all’uno che allo 0,5%.
Non è tuttavia facile spiegare la lentezza della nostra reazione ai messaggi positivi della caduta dell’Euro e del prezzo dell’energia quando, con la variazione del cambio, vengono molto favorite le nostre esportazioni e, con il basso prezzo del petrolio, stiamo già risparmiando miliardi di Euro.
La principale spiegazione è che, negli ultimi due anni e mezzo, il consumatore italiano è stato dominato da un pessimismo crescente per cui, contrariamente a quanto era avvenuto in precedenza, la propensione al risparmio è aumentata di due punti, sottraendo un enorme quantità di risorse ai consumi. In parole semplici il pessimismo nei confronti del futuro ha spinto le famiglie ad astenersi dagli acquisti anche nei pur non frequenti casi di aumento del reddito disponibile.
I famosi ottanta euro non hanno esercitato l’effetto sperato proprio perché sono arrivati quando le famiglie erano così preoccupate del loro futuro che tendevano più a risparmiare che a spendere.
Tutto ciò non è però sufficiente a spiegare perché un paese come l’Italia debba arretrare più degli altri in tempi di crisi e camminare più lentamente nei periodi di ripresa.
In generale se ne attribuisce la colpa alla nostra scarsa produttività: questo può spiegare una certa lentezza nei confronti della Germania ma non certo riguardo alla Spagna o alla Francia, che naviga con un costante deficit della bilancia commerciale, al contrario dell’Italia che, nonostante l’assoluta mancanza di materie prime e fonti energetiche, mantiene un modesto ma costante attivo nei suoi rapporti commerciali con l’estero.
La vera grande differenza sta tutta nel funzionamento delle nostre strutture pubbliche.
Gli operatori economici non possono contare non solo sui tempi della giustizia ma sulla certezza del diritto. Dato che tutto questo riguarda non solo il bilancio delle imprese ma la vita stessa di coloro che in esse operano, a questa tragedia è da imputare la causa maggiore del nostro costante ritardo.
Segue a ruota l’inestricabile groviglio degli adempimenti burocratici: gli adempimenti nel campo edilizio, della sicurezza, della sanità e di tutti gli altri settori che necessariamente toccano la vita di un’impresa oscillano sempre più spesso tra il tragico e il ridicolo, con una sovrapposizione di competenze di difficile comprensione anche per coloro che ne sono responsabili.
Tutto questo crea un clima di incertezza per cui si tende sempre di più a distribuire tra un crescente numero di organismi la responsabilità delle decisioni, in modo che ne vengano poi diluite le eventuali responsabilità. Se poi si riesce a rinviare la decisione finale a qualche tribunale ancora meglio, perché allora proprio nessuno può essere chiamato a risponderne. Mi sono chiesto in questi giorni ( senza trovare una risposta) perché sia stata demandata al Consiglio di Stato la decisione sulla legittimità o meno di mettere a coltura nel nostro paese le sementi geneticamente modificate. Dato che una tale decisione coinvolge enormi problemi di carattere sanitario e economico dovrebbe essere il governo a decidere, consultati ovviamente gli organismi scientifici di cui il governo stesso ampiamente dispone. Immagino le mille motivazioni (tutte perfette dal punto di vista formale) perché questo non avvenga e ad esse mi inchino ma aggiungo subito che con questi comportamenti si distrugge un paese. Ho ricordato questo caso solo perché è di importanza enorme ed è l’ultimo che mi è capitato sotto gli occhi, ma gli incroci e le incertezze decisionali a tutti i livelli ( centrale, regionale, comunale ) aumentano e si moltiplicano ogni giorno con l’accumularsi di nuove leggi.
Porre termine a questa confusione è il primo passo perché si possa invertire la fuga all’estero degli specialisti e degli operatori qualificati italiani e stranieri.
Naturalmente perché la ripresa diventi stabile e perché i consumatori riprendano piena fiducia è necessario lavorare a fondo e a lungo sulle risorse umane e su una politica economica attenta a utilizzarne il contributo in tutte le attività produttive. Ma questo è un altro capitolo: intanto diamoci da fare per normalizzarci.