La Consulta richiama all’equità e alla solidarietà. Sta al governo decidere come esprimerle
I confini della Consulta e le priorità del governo
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 10 maggio 2015
Già in passato alcune sentenze della Corte Costituzionale avevano profondamente influenzato la vita sociale, politica ed economica del nostro paese. È sufficiente ricordare la recente dichiarazione di incostituzionalità della legge elettorale e le decisioni che hanno riguardato la fecondazione assistita. Tuttavia la sentenza n.70 del 2015 contiene caratteri di novità e solleva interrogativi di straordinaria importanza. Come è ben noto, essa stabilisce che la decisione, presa dal governo Monti durante l’emergenza finanziaria del 2011, di sterilizzare l’adeguamento all’inflazione delle pensioni superiori di tre volte rispetto alla pensione minima, è in contrasto con la nostra carta costituzionale.
Una decisione che, dovendo essere subito applicata e non prevedendo ricorsi, esige un’immediata variazione della strategia economica del Governo, che si trova improvvisamente scoperto per una somma che, secondo le stime che corrono, non è inferiore a 15 miliardi di euro.
La motivazione della sentenza è lunga ed articolata ma, nel suo significato più profondo, può essere riassunta nella frase che dice che la mancata rivalutazione, “violando il principio di proporzionalità tra” “pensione e retribuzione e quello di adeguatezza della prestazione previdenziale, altererebbe il principio di” “eguaglianza e ragionevolezza, causando un’irrazionale discriminazione in danno della categoria dei” “pensionati.”
È chiaro che, con questa motivazione, la Corte si assume il compito di decidere sull’equità di una misura di politica economica anche sotto l’aspetto quantitativo, stabilendo che il multiplo di tre volte rispetto al minimo è troppo basso per garantire il rispetto della giustizia distributiva da parte di una misura che corregge pesantemente il livello delle pensioni di oltre cinque milioni di persone.
Con questa decisione la Corte interviene nella discrezionalità della politica, stabilendo quali principi di proporzionalità e quali livelli di progressività delle pensioni siano compatibili con i principi fondamentali della nostra Costituzione. Da questa sentenza, di cui non metto in discussione i corretti fondamenti giuridici, viene messa in un rilievo nuovo la complessità dei rapporti fra la Corte Costituzionale da un lato e il Parlamento, il Governo e il Presidente della Repubblica dall’altro.
Si aprono cioè interrogativi molto importanti per il nostro futuro, dato che questi rapporti debbono essere gestititi nell’interesse comune.
Il primo problema che si pone è quello della tempestività perché una sentenza che arriva dopo tanti anni impone al legislatore correzioni appesantite da interessi ed arretrati, per cui mettere rimedio alle iniquità diventa ancora più gravoso e difficile. Altrettanto importante si presenta il problema della certezza dei dati di partenza e delle dimensioni delle correzioni che debbono essere necessariamente applicate per venire incontro alle richieste della Corte. La trasparenza dei processi decisionali diviene a questo punto un problema di importanza fondamentale anche perché sia la Corte che il legislatore debbono valutare il rischio di fare scattare pesanti procedure di infrazione da parte delle autorità europee.
Nel pieno rispetto della Costituzione e della rigorosa indipendenza dei diversi organi costituzionali bisogna quindi procedere nella direzione di una necessaria cooperazione, volta a regolare i limiti e le prerogative delle fondamentali istituzioni dello Stato. Questo proprio per rispettare la critica che la Corte ha espresso nei confronti dell’esecutivo quando ha rilevato che non erano state sufficientemente motivate le ragioni economiche contingenti che sottostavano alla decisione del governo.
Si apre quindi un complicato cammino per il governo che deve approvare le nuove disposizioni. Esse debbono essere in linea con le esigenze espresse dalla Corte ma, nello stesso tempo, non in contrasto rispetto alle norme dei censori di Bruxelles. Un esercizio che andrà probabilmente nella direzione di una diversa distribuzione dei pesi, chiedendo sacrifici più gravosi a coloro che godono di pensioni più elevate ed innalzando l’asticella delle esenzioni, come era stato proposto dai precedenti governi.
Un esercizio possibile, anche se non sarà facile reperire le ingenti risorse necessarie per riportare i conti pubblici nel pur complicato equilibrio che esisteva prima della sentenza.
Mi auguro che questo processo di correzione possa procedere in modo spedito ma in ogni caso la regolamentazione dei rapporti fra il potere esecutivo e la Corte Costituzionale resta un problema difficile e delicato. Pur essendo molto sensibile ai richiami di equità richiamati dalla Corte credo infatti che sia un compito irrinunciabile del governo interpretare il modo con cui la solidarietà si esprime in un preciso momento storico ed in una precisa situazione politica e sociale.
Dovrà essere ad esempio il Governo a decidere se sia opportuno distribuire più risorse a favore del sostegno alle pensioni o dell’aiuto all’occupazione delle classi giovanili, mentre la Corte dovrà giudicare se queste difficili scelte siano messe in atto nel rispetto dei diritti fondamentali e dei principi di “eguaglianza e ragionevolezza”.
Nei mobili confini della vita politica non è facile definire con precisione questi diversi compiti. Mi auguro tuttavia che la maturità democratica dell’Italia sia in grado di risolvere i potenziali conflitti in modo armonico e costruttivo, come già avviene in altri paesi.