L’India cresce, la Cina rallenta, gli USA ripartono, ma l’Europa resta ferma
Bolla cinese, luci indiane e le ombre dell’Europa
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 02 agosto 2015
Se si scrive che nell’economia mondiale vi sono luci ed ombre non si sbaglia mai. Anch’io scelgo perciò di iniziare le mie riflessioni su quest’argomento con questa espressione banale, premettendo tuttavia che le ombre sono leggermente superiori alle luci.
La prima ombra è nella crescita dell’economia mondiale. Nello scorso anno è stata del 3,2%: nell’anno in corso, si attesterà al di sotto del 3%.
Non si tratta di un tracollo ma di un segnale di come l’uscita dalla grande crisi sia più lunga e faticosa del previsto, data l’assenza di strumenti di coordinamento nella gestione della politica economica mondiale. La seconda ombra sta nel fatto che il calo nel ritmo di crescita si concentra soprattutto nei paesi in via di sviluppo, anche se bisogna fare un’eccezione per l’India che, pur conservando i rischi e gli squilibri che le sono tradizionali, crescerà quest’anno ad un livello più che “cinese” (non lontano da un incredibile 8%) per effetto di una politica monetaria espansiva e di corposi incentivi ai consumi e agli investimenti. Difficile prevedere se un paese con le complessità sociali e politiche dell’India possa conservare a lungo questo ritmo di sviluppo, come sarebbe necessario date le sue condizioni di partenza, ma questa è certo una buona notizia anche perché l’India si prepara a divenire, nel corso di una sola generazione, il paese più popoloso del mondo.
L’America Latina crescerà invece al di sotto dell’1%, trascinata in basso dalla caduta del Brasile che, travolto dagli scandali e appesantito da scelte politiche sbagliate, ha perso in poco tempo un’immagine e una spinta che sembravano essere un punto di riferimento per tutto il mondo in via di sviluppo.
Non sorprende invece il drastico calo della crescita dei paesi del Medio Oriente, schiacciati da conflitti sempre più intensi e da bilanci pubblici impoveriti da un crollo dei prezzi del petrolio del quale non si intravvede nessun segnale di ripresa. Ancora meno sorprende il segno pesantemente negativo dell’economia della Russia che, al crollo dei prezzi degli idrocarburi, deve aggiungere gli effetti delle sanzioni che la stanno pericolosamente isolando dal resto del mondo. Meno danneggiata dalle difficoltà dei paesi in via di sviluppo risulta l’Africa Sub-sahariana, che continuerà il suo cammino quasi in linea con lo scorso anno, cioè un poco al di sotto del 5%. Ben poco rispetto alle sue necessità ma ugualmente un segno positivo sul nuovo corso dell’economia africana.
Resta il caso cinese, oggetto di mille paure e supposizioni da quando il crollo della borsa di Shanghai ha fatto pensare all’innesco di una nuova crisi finanziaria mondiale. Personalmente ritengo che una caduta del 30% nelle quotazioni di titoli che si erano gonfiati del 150% in un solo anno sia un evento prevedibile ed opportuno. Quanto al pericolo di infezione nei confronti degli altri mercati mondiali bisogna tenere conto che, contrariamente a quanto è apparso nei mass-media, il mercato azionario cinese ha un’importanza molto più limitata di quanto non avvenga nei paesi occidentali. Il turbamento dei mercati cinesi ha inoltre una minore capacità di contagio rispetto al passato, dato il maggiore controllo sui mercati finanziari internazionali rispetto alle crisi precedenti. Un contesto quindi meno rischioso.
Le difficoltà cinesi riguardano altri problemi, come la “bolla” del mercato immobiliare, oppresso da un’impressionante eccesso di edifici invenduti. A questo si aggiungono le difficoltà nella trasformazione del sistema bancario e nel passaggio da un’economia fondata sugli investimenti e sulle esportazioni a un nuovo equilibrio nel quale i consumi ed il mercato interno assumono un ruolo più consistente. Nonostante queste difficoltà non ci si dovrebbe troppo distaccare da quella che viene definita la “nuova normalità“, cioè uno sviluppo non troppo lontano dal 7%, anche se osservatori solitamente attenti mettono in dubbio che questo risultato possa essere raggiunto.
Anche se con una minore brillantezza rispetto alle previsioni dobbiamo includere fra le luci l’economia americana, che crescerà quasi del 2,5%, con le esportazioni non troppo danneggiate dal dollaro forte e con l’inflazione per ora sotto controllo, tanto che la Riserva Federale continua a rinviare l’aumento dei tassi di interesse, oggi ai minimi storici.
Prima di preoccuparsi dell’inflazione le autorità monetarie americane stanno infatti prudentemente analizzando l’andamento del mercato del lavoro, sia riguardo ai livelli salariali che ai dati sulla disoccupazione. In ogni caso nessuna decisione sarà presa prima dell’autunno.
Infine una luce solo soffusa illumina pallidamente l’Europa, dove i 19 paesi dell’Unione monetaria cresceranno dell’1,4% di fronte allo 0,9% dello scorso anno.
Questo è meglio di niente, anche se è un risultato che non ci riempie di gioia perché, dopo sette anni di crisi, ci vorrebbe ben altro. Tutto questo diventa ancora più evidente rileggendo i dati del mercato del lavoro, con una disoccupazione che, nei paesi della zona Euro, rimane saldamente ancorata al deludente livello dell’11,1%. Un dato preoccupante che riguarda in particolare modo l’Italia che, con una crescita del PIL dello 0,7%, vede il proprio livello di disoccupazione in aumento dal 12,5 al 12,7%, e una disoccupazione giovanile che arriva alla cifra record del 44,2%.
Questo è il quadro dell’economia del nostro pianeta nell’estate del 2015. Non è il migliore dei mondi possibili ma, dato il numero di conflitti politici e militari esistenti, le cose potrebbero anche andare peggio.