Un cambio radicale della politica europea per gestire l’emergenza immigrati
Ma la svolta non basta, l’emergenza è l’Africa
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 6 settembre 2015
Per anni l’ondata di migrazioni verso l’Europa è stata ritenuta un problema dei singoli paesi. Anzi, nonostante il crescente numero dei migranti e dei morti nel Mediterraneo, un problema sostanzialmente italiano. La solidarietà poteva al massimo esprimersi in un aiuto finanziario o in una partecipazione al soccorso di naufraghi, che venivano successivamente scaricati sulle nostre coste. Bisognava che l’ondata prendesse anche altre strade, dilagando verso i paesi dell’Europa Orientale, perché la coscienza europea finalmente si svegliasse. Come ormai sempre più spesso avviene, la necessaria iniziativa politica è partita dalla Germania.
La proposta della signora Merkel di una strategia europea per i rifugiati è stata opportuna, coraggiosa e, nello stesso tempo, generosa e intelligente. Opportuna perché ormai il problema stava esplodendo con esiti imprevedibili ma in ogni caso tragici. Coraggiosa perché la Cancelliera tedesca ha preso la difficile decisione di opporsi ad alcuni dei suoi più stretti alleati come la Repubblica Ceca, la Slovacchia e la stessa Gran Bretagna.
Generosa perché ha enormemente moltiplicato il numero di coloro a cui è concesso il diritto d’asilo, accogliendo in Germania centinaia di migliaia di persone in pericolo di vita. Allo stesso tempo intelligente perché si tratta di un’ondata di rifugiati generalmente forniti di un alto livello di istruzione: essi possono essere quindi bene inseriti, attraverso un’attiva politica di accoglimento, nel sistema produttivo tedesco che ne ha sempre più bisogno.
Questa decisione, che ha ridato finalmente dignità all’Europa e di cui siamo grati alla Cancelliera tedesca, ha naturalmente un’efficacia parziale e limitata nel tempo. Limitata nel tempo perché, se i conflitti del Medio Oriente dureranno ancora, i milioni di rifugiati in Turchia e negli altri paesi al confine della Siria, premeranno sulle frontiere europee in una tale quantità che sarà impossibile gestire. Questo problema può essere risolto ( e lo può essere davvero) solo se le grandi potenze eserciteranno le dovute pressioni nei confronti della Turchia, dell’Arabia Saudita e dell’Iran perché pongano fine alla loro lotta per la supremazia nel mondo islamico, una lotta che sempre più destabilizza il Medio Oriente. Obiettivo possibile solo partendo da un necessario accordo fra Stati Uniti e Russia, accordo reso difficile principalmente dal caso ucraino.
La soluzione della migrazione originata dalla guerra risolverebbe tuttavia solo una parte del problema perché appare sempre crescente (e illimitata nella sue prospettive temporali) la migrazione spinta dalla fame e dalla povertà. Una migrazione che arriva soprattutto dall’Africa, continente che supererà i due miliardi di abitanti entro la metà del secolo.
Paesi come il Niger e il Mali raddoppieranno la loro popolazione in diciotto anni: essi non hanno alcuna credibile alternativa all’emigrazione, così come è in gran parte il caso del Senegal e dei duecento milioni di nigeriani.
Di fronte alle dimensioni di questa tragica prospettiva non si sta preparando alcuna soluzione.
Tutto il mondo dovrebbe essere interessato allo sviluppo africano ma il peso maggiore non può che cadere sulle spalle dell’Europa non solo per motivi storici ma perché è verso di noi che si dirige (e ancora più si dirigerà) questa marea umana. È chiaro che premessa per gestire civilmente questo enorme problema è la soluzione del dramma libico ma non pensiamo che, anche in caso di pacificazione di questo paese, la spinta migratoria si rallenti. Ormai si tratta di un’ondata della storia a cui si può porre ordine solo cambiando la storia, cioè con un impegno di cooperazione politica ed economica intenso e prolungato fra l’Unione Europea e i paesi africani.
Sotto quest’aspetto l’Europa non ci sente e, in fondo, non ci ha mai sentito. Ho di questo un’esperienza personale. Mentre è stato possibile organizzare una politica di apertura e di accoglienza dei paesi in precedenza parte dell’Unione Sovietica ( paesi che sembrano dimenticare quanto è stato fatto per loro) non si è mai trovato un accordo per una politica africana, nemmeno limitata ai paesi della sponda sud del mediterraneo.
I leader del Nord Europa si sono sempre opposti alla creazione della Banca del Mediterraneo. Hanno ugualmente respinto il progetto di creare università comuni con professori e studenti europei ed africani. Non è stato nemmeno preso in esame un progetto ( chiamato l’anello degli amici) che prevedeva la possibilità di accordi bilaterali e volontari fra l’Unione Europea e tutti i paesi con essa confinanti, dalla Bielorussia fino al Marocco, passando per l’Ucraina, la Siria, l’Egitto, Israele e la Libia.
Il risultato di tutto questo è che di amici attorno a noi ne abbiamo sempre meno, sopratutto a Sud, proprio di fronte alle nostre coste.
Occorre quindi un cambiamento radicale della politica europea. Sarà certo complesso e costoso ma costerà sempre meno della gestione di un flusso di migranti senza limiti e senza regole. I tragici avvenimenti di questi giorni ci hanno obbligato a prendere atto della necessità di gestire l’emergenza. Ora bisogna prepararci a costruire il futuro di un mondo ormai irresistibilmente globale.