Guidare la globalizzazione per non aumentare le disuguaglianze
Prodi: i giornali cinesi hanno dato spazio all’intervista del Papa sulla Cina
L’ex presidente del Consiglio e della Commissione europea: l’incontro tra Francesco e Kirill a Cuba ha dato un messaggio importante: lanciano nuovi ponti tra religioni e paesi
Intervista di Iacopo Scaramuzzi a Romano Prodi su La Stampa del 27 febbraio 2016
La recente intervista sulla Cina rilasciata dal Papa ad Asia Times ha avuto «spazio» sui giornali cinesi: lo rileva Romano Prodi, ex presidente del Consiglio ex presidente della Commissione europea e grande esperto di Cina, a margine di un convegno organizzato dalla Confindustria a pochi passi dal Vaticano in vista dell’udienza che domani il Papa concede a 7mila industriali italiani per il «Giubileo dell’industria».
Presidente Prodi cosa pensa del recente incontro di Papa Francesco e del patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill a Cuba?
«E’ una diplomazia nuova, di straordinaria importanza, e soprattutto ha dato a tutta la stampa internazionale e al mondo il messaggio di nuovi ponti che si lanciano tra diverse religioni, diverse confessioni in questo caso, e fra diversi paesi. Il fatto che sia stato a Cuba con la Chiesa ortodossa, così importante nella vita della Russia, è un rilevante segnale religioso, ma anche un segnale politico»
E l’intervista che il Papa ha rilasciato ad Asia times sulla Cina, paese che lei conosce molto bene, intervista che non ha avuto molto rilievo sui giornali italiani?
«Sui giornali italiani non le è stato dato molto spazio, ma la cosa più importante è che le sia stato dato spazio sui giornali cinesi! Questa è la cosa importante. Non so se sarà seguita da altri passi, ma è la prima volta che viene fatta una intervista al Papa sulla Cina in modo assolutamente specifico ed esclusivo».
Nel corso del suo intervento al convegno «Fare insieme. Sviluppo, istruzione, lavoro», promosso al centro congressi Augustinianum da Confindustria, Unicredit e Eni, Prodi ha svolto una lezione sul tema «Creare sviluppo per dare sicurezza». L’ex premier italiano è partito dalla constatazione che non sembra esserci «correlazione» tra sviluppo e sicurezza, poiché, nonostante le ultime tre generazioni abbiano vissuto in una situazione si sviluppo economico, vi è nel mondo una «enorme insicurezza, e il sentimento principale in Europa e fuori di essa è la paura».
Un sentimento che si concretizza in quella «terza guerra mondiale a pezzi» denunciata dal Papa con una «analisi da politologo» che si sta svolgendo «in Ucraina, Siria, Medio Oriente, Sua Sudan e altri paesi dell’Africa» e che paradossalmente ha spinto qualcuno a rimpiangere la guerra fredda, e nel terrorismo, tanto più minaccioso da quando esso ha un «territorio», come dimostra ad esempio il caso della Libia dove «200 chilometri di costa sono sostanzialmente sotto il controllo militare dell’Isis o del para-Isis».
Il punto, per Prodi, è che «il concetto di globalizzazione ha fatto paura alle nostre società, non ne sono stati percepiti tanto gli aspetti positivi, che pure ci sono, quanto il timore che lo sviluppo globale comporti una perdita secca di benessere per i paesi benestanti a favore dei paesi emergenti». Eppure «la globalizzazione fa parte ineluttabile del mondo, dobbiamo guidarla, dobbiamo renderla meno ingiusta, ma non possiamo fermarla».
Il senso di insicurezza, per Prodi, deriva dalle «crescenti disparità» che, a partire dalla fine anni Settanta e dagli inizi degli anni Ottanta, ha avuto una traduzione concreta nelle politiche promosse da personalità quali Ronald Reagan negli Stati Uniti e Margaret Thatcher nel Regno Unito. E si è concretizzata in una «critica feroce della progressività delle imposte» («Chiunque parli di imposte perde le elezioni, ne so qualcosa – ha detto l’ex premier con un filo di humor – sebbene l’elettorato sia strano perché poi non verifica se le promesse di un abbassamento delle imposte viene effettivamente realizzato»), nella tendenza della finanza ad espandersi, e nello sviluppo di una nuova tecnologia che «spiazza la classe media» («Sono sparite centinaia di segretarie», ha esemplificato Prodi). L’aumento delle diseguaglianze, peraltro, viene sostanzialmente accettato dall’opinione pubblica, non solo in Europa, ha proseguito l’economista bolognese, citando un’affermazione di una studentessa cinese, «Meglio essere tristi con una Bmw che felici con una bicicletta», «come ciclista – ha chiosato Prodi – non mi ci ritrovo… ma è il segno di un cambiamento di ottica nel mondo».
Per «creare sicurezza», allora, e contrastare quella che il Papa ha definito «globalizzazione dell’indifferenza», è necessaria una politica portata avanti insieme da tutti i paesi coerentemente con un’attenta analisi economica. Se dopo la forte crisi economica degli anni scorsi non c’è stata un’altrettanto forte ripresa, ha notato Prodi, è per la presenza di «squilibri» tra risparmi, da un lato, consumi e investimenti, dall’altro, non dunque dal lato dell’offerta, ma da quello della domanda: «Bisogna modificare la tendenza al consumo con una politica concordata tra paesi che «redistribuisca i redditi a favore di coloro che consumano e investono». L’Unione europea dovrebbe contribuire a porre rimedio a questa situazione di squilibrio, ma «le abbiamo tagliato le gambe», perché, ad esempio, i bilanci comunitari europei ammontano all’un per cento del Pil dell’Ue, mentre i bilanci nazionali oscillano tra il 30 e il 60 per cento, ed anche il recente piano di rilancio dell’economia presentato dall’attuale presidente dell’esecutivo europeo, Jean-Claud Juncker, che va «nella giusta direzione», in termini quantitativi assoluti rappresenta un apporto «trascurabile»; e perché mentre cresce il sentimento anti-europeo, l’Unione europea «è impossibilitata a prendere le decisioni necessarie per uscire dalla crisi». Gli Stati, «uniti dalla moneta, non sono uniti nella politica economica». Per Prodi, «senza questi cambiamenti radicali, non saremo in grado di uscire dalla crisi. E se non poniamo rimedio, nella prossima vita, eminenza – ha detto Prodi rivolgendosi al cardinale Ravasi seduto accanto a lui – potremmo andare all’inferno, ma in questa vita finiamo in una stagnazione secolare».
Alla tavola rotonda pomeridiana, moderata dal giornalista Antonio Preziosi, sono intervenuti il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente pontificio consiglio della Cultura, Gabriele Piccini, Country Chairman Italy UniCredit, il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del pontificio consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, e Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo. Domani alle 11, introdotto dal presidente della Confindustria Giorgio Squinzi, il Papa rivolgerà un discorso a settemila industriali italiani ricevuti in udienza.