Se l’angoscia per il futuro trova risposte solo nella demagogia

Gli errori dei partiti che aiutano l’antipolitica

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 12 giugno 2016

In tutti i paesi democratici dell’occidente la sorpresa per gli esiti elettorali è ormai diventata un’abitudine: i partiti tradizionali sono ovunque in difficoltà. Dalla Danimarca alla Francia, dalla Germania alla Gran Bretagna, dalla Spagna all’Italia, passando per l’Austria e l’Olanda i partiti classici di destra e di sinistra arretrano, lasciando spazio ai nuovi movimenti che, per convenzione chiamiamo populisti ma che, in ogni caso, sono il segno di un disagio crescente. Un’ondata che ha investito anche gli Stati Uniti: Trump, a parte le “americanate”, interpreta il disagio dell’Occidente con le stesse posizioni di molti leader protestatari europei.

Questo perché le ragioni che generano il disagio delle nostre società, anche se si presentano con caratteristiche diverse, sono le stesse. Esse sono prodotte da un malessere comune, che investe l’Occidente da quando si è affrontata l’inevitabile globalizzazione con strumenti che hanno progressivamente distrutto i fondamenti delle nostre società.

Nel primo dopoguerra, anche se con passo lentissimo, le differenze di reddito erano infatti costantemente diminuite. Dagli anni ottanta in poi (pensiamo soprattutto al ruolo di Reagan e della Signora Thatcher) si è invece lasciato  che il mercato, il crescente peso della finanza nell’economia e la diminuzione del compito distributivo dello stato producessero crescenti differenze all’interno di tutti i paesi. L’ascensore sociale si è bloccato in entrambe le sponde dell’Atlantico, i salari hanno cominciato a calare in termini reali, il ceto medio si è indebolito ovunque, la precarietà è diventata una virtù e ci siamo lentamente abituati a una diminuzione del welfare state, dal settore della salute a quello della scuola, dalla disoccupazione giovanile a quello delle pensioni.

L’allungamento della vita media si accompagna ad un’angoscia per il futuro che accomuna vecchi e giovani.

La colpa di questo crescente disagio è naturalmente attribuita alle insufficienze e agli errori dei governi in carica, siano essi di destra che di sinistra. Di qui la progressiva diminuzione della fiducia nei partiti che hanno la responsabilità di questi governi.

Una sfiducia che si trasforma in un’erosione della loro base elettorale da parte di movimenti che cercano di interpretare la nostra crescente angoscia ma non sono (almeno fino ad ora) in grado di offrirne una credibile via d’uscita.

Come conseguenza naturale di questa realtà, le nuove espressioni politiche si affermano  dove il disagio sociale è maggiore. Non è un caso che in Europa siano soprattutto le periferie che cercano sicurezza nei nuovi partiti e che negli Stati Uniti anche uno come Trump abbia avuto più successo nelle aree degradate del Midwest che non tra gli uomini d’affari e i banchieri di Wall Street.

La crisi economica ha infatti approfondito questo processo di aumento delle disparità e non ci sono cenni di un’inversione di tendenza.

L’aumento di questa diffusa “ingiustizia” non solo provoca disagi ed angosce nella vita dei singoli ma è anche all’origine del rallentamento della crescita delle nostre economie.

In questa iniqua distribuzione dei redditi i risparmi si accumulano infatti nelle classi sociali più elevate, che hanno ovviamente una minore propensione al consumo, mentre la sfiducia verso il futuro rallenta gli investimenti privati e l’obiettivo del pareggio del bilancio dello Stato frena quelli pubblici.

Le posizioni degli studiosi che parlano di una progressiva caduta verso la “stagnazione secolare” non sono più voci isolate ma descrivono in modo scientifico le conseguenze più probabili del crescente squilibrio che si verifica nelle nostre economie.

Non è facile sciogliere questo nodo nel quale siamo aggrovigliati perché non possiamo limitarci ad imitare le cure che Keynes ha proposto per uscire dalla grande crisi del 1929. Non vi è infatti oggi un paese dominante come erano in quel tempo gli Stati Uniti perché non vi erano allora i nuovi protagonisti della globalizzazione che, a partire dalla Cina, rendono oggi più complesso il compito di fare riprendere il cammino dell’economia.

Il disagio che i nuovi partiti rappresentano non può perciò che  preparare un loro sempre maggiore successo, anche se le proposte che essi esprimono, rivolte soprattutto a produrre una chiusura politica ed economica nei confronti del resto del mondo, preparano risultati ancora peggiori.

L’unica risposta efficace può essere solo in uno sforzo da parte delle grandi forze politiche che ancora hanno la responsabilità di governo nel correggere le distorsioni indicate, in modo da garantire ai cittadini maggiore sicurezza e maggiore equità. Tutto ciò esige tuttavia una consapevolezza (che richiede tanto studio), un disinteresse e una cooperazione internazionale di cui non si vede ancora traccia.

In mancanza di tutto questo l’affermazione dei nuovi partiti politici diventerà ancora più rapida e la loro connotazione più radicale. Non è tuttavia probabile che questo porti ad un miglioramento delle cose perché, se non si sa in quale direzione navigare, il cambio del timoniere può produrre danni ancora maggiori.

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
giugno 12, 2016
Articoli, Italia