Se la Gran Bretagna se ne andrà, prima o poi dovrà tornare sui suoi passi
Il referendum per Brexit cambierà il futuro Ue
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 19 giugno 2016
Giovedì prossimo gli elettori britannici decideranno se il loro paese continuerà a fare parte dell’Unione Europea o se andrà per conto suo. Una decisione ancora incerta, al termine di un campagna elettorale tesa e purtroppo anche drammatica. Una campagna che, all’interno della Gran Bretagna, ha mobilitato tutte le forze politiche, sindacali, economiche e perfino i rappresentanti delle diverse confessioni religiose. Tuttavia, anche all’esterno della Gran Bretagna, la campagna è stata seguita con tale ansia e partecipazione da sconvolgere i mercati finanziari dell’intera Europa e oltre.
Tutto questo è comprensibile data l’importanza della posta in gioco, anche se desta un certo stupore vedere combattere a favore della permanenza nell’Unione Europea i diversi primi ministri britannici che, negli anni nei quali erano al governo del Paese, avevano l’abitudine di accusare Bruxelles di ogni nefandezza e si opponevano a tutte le decisioni che tendevano a trasferire a livello europeo nuovi poteri e nuove responsabilità.
Fa impressione sentire dalle stesse bocche che imputavano ogni evento negativo allo strapotere europeo pronunciare previsioni catastrofiche sul futuro dell’economia e della politica britannica in caso di Brexit, ipotizzando crolli nel reddito nazionale, nelle esportazioni e nel ruolo futuro della City di Londra.
Anche se personalmente mi auguro e spero che l’uscita non avvenga, sono tuttavia convinto che, in caso di Brexit, si possano trovare i necessari compromessi che permettano non solo la permanenza degli intensi rapporti economici costruiti in questi anni ma anche delle fondamentali alleanze politiche e militari che sono oggi e lo saranno anche domani, di comune interesse.
Gli aspetti negativi di una eventuale Brexit riguardano invece il messaggio di fragilità che l’Unione Europea trasmetterebbe in tutto il mondo, ossia quello di un’Unione reversibile e non duratura nel tempo. Vi sono infatti molti paesi, a partire dall’India e passando per gli Stati Uniti, compresa l’Australia e tante altre nazioni sparse per il globo che, in conseguenza della storia e dei legami economici e politici particolari, guardano all’Europa soprattutto con gli occhi della Gran Bretagna. Il nostro ruolo nel mondo non può quindi che soffrire da una possibile Brexit.
In secondo luogo non si può escludere che altre nazioni siano tentate di seguire la stessa strada, dato che, in tutti i paesi, i movimenti antieuropei si sentiranno incoraggiati a perseguire lo stesso obiettivo.
Bisogna tuttavia riconoscere che, anche in caso di un risultato del referendum in favore della permanenza nell’Unione, la conseguenza sarà la nascita formale di un’Europa a due o più velocità. Una decisione già virtualmente assunta nel febbraio scorso quando il Primo Ministro Cameron, all’indomani dei lunghi negoziati con Bruxelles in vista del referendum, aveva potuto annunciare che il suo paese aveva ottenuto garanzie tali da escludere ogni partecipazione agli eventuali progressi delle politiche comuni dell’Unione Europea.
Dato che la Gran Bretagna non partecipa né alla moneta comune né ai trattati di libera circolazione, questa ulteriore manifestazione di estraneità non può che tracciare per il Regno Unito un cammino diverso rispetto ai paesi che, pur con difficoltà e lentezza, hanno deciso di mettere in comune una crescente parte del proprio destino. Ed è assai probabile che altri paesi cercheranno di ottenere le sostanziali eccezioni fatte proprie dalla Gran Bretagna
All’indomani del referendum deve quindi cominciare un’immediata azione dei paesi del “nocciolo duro” europeo per mettere in atto forme di più stretta collaborazione, senza le quali non vi è per noi alcun futuro nel mondo globalizzato.
Un cammino che dovremmo compiere in ogni modo perché, di fronte agli Stati Uniti ed alla Cina, un’Europa che non è né cotta né cruda non può avere alcun ruolo. Deve essere perciò chiaro che la manifestata diversità della Gran Bretagna (sia che essa si esprima in un voto a favore o in un voto contrario alla permanenza nell’Unione) impone di compiere queste scelte prima che il progresso dell’Europa continui ad essere così lento da emarginarla ancora per lungo tempo da qualsiasi ruolo di guida della politica mondiale.
In ogni caso sono profondamente convinto che non solo l’Unione Europea non si dissolverà ma sarà obbligata dagli eventi della storia a convergere verso politiche sempre più armonizzate. È possibile che quest’obiettivo sia raggiunto solo dopo un ulteriore approfondimento della crisi in corso ma è anche probabile che, se questo processo si evolverà nella sua positiva direzione, fra dieci o vent’anni la Gran Bretagna sarà obbligata a riconoscere che il proprio futuro sarà garantito solo schierandosi tra i paesi guida dell’Europa.
Un cambiamento di questo tipo è già avvenuto quando, dopo essersi orgogliosamente rifiutata di entrare nel Mercato Comune e dopo avere tentato di creare con l’Efta un’area di mercato alternativa, la Gran Bretagna è tornata sui suoi passi e ha cambiato radicalmente politica.
L’unico grande errore, ormai impossibile da cancellare, è quello di avere voluto questo sciagurato referendum che ha solo il merito di avere obbligato i governanti britannici a tessere le lodi dell’Unione Europea come mai era accaduto in passato.