L’Italia va, ma senza riforme sarà sempre in coda al treno
L’Italia va, ma senza riforme saremo sempre in coda al treno
Articolo di Romano Prodi sul supplemento di fine anno de Il Messaggero del 21 dicembre 2017
Nel consueto bilancio di fine d’ anno dobbiamo riconoscere che l’ economia mondiale, in questo 2017, si è comportata assai meglio delle previsioni.
Dodici mesi fa si pensava ad una crescita globale intorno al 3% mentre il consuntivo sarà del 3,5%. È sorprendente che il principale motore di questa maggiore crescita sia stato il commercio internazionale, aumentato del 5% proprio mentre il presidente Trump aveva denunciato i trattati commerciali del Pacifico e minacciato di rendere carta straccia non solo il NAFTA ma anche tutte le prospettive di un grande accordo transatlantico.
La forza dell’ economia ha prevalso sulle incertezze della politica. Si è trattato di una crescita distribuita con una certa logica: più elevata per i paesi in via di sviluppo e minore nei paesi industrializzati.
A rendere migliori i risultati sono stati soprattutto la Cina, che si è mantenuta poco al di sotto del 7% e, finalmente, anche l’ Unione Europea che, arrivando al 2,4%, si è collocata quasi un punto percentuale al di sopra di quanto si prevedeva.
All’ inizio dello scorso anno si era infatti di fronte all’ ipotesi di una possibile crisi delle istituzioni europee soprattutto per effetto dell’ incertezza politica francese.Anche se molte ombre oscurano ancora il contesto europeo, la trionfale vittoria di Macron ha reso tuttavia meno incidentato il futuro cammino dell’ Unione: la prospettiva di mettere in atto alcuni progressi nelle politiche comuni è in complesso migliore oggi rispetto ad un anno fa, nonostante la conferma della chiusura nazionalistica in Polonia, in Ungheria, nei paesi baltici e, ultimamente, anche in Austria.
Non penso naturalmente a progressi rapidi perché il cammino verso l’ approfondimento della cooperazione europea, contenuto nei discorsi di Macron, potrà cominciare soltanto dopo la formazione del governo tedesco, non ancora vicina al traguardo finale dopo oltre tre mesi dal giorno delle elezioni.
Se dall’ Europa passiamo all’ Italia le conclusioni sono assai simili: all’ inizio dell’ anno pensavamo di crescere allo 0,7% mentre il consuntivo sarà dell’ 1,6%. Siamo sempre ampiamente al di sotto della media europea ma, finalmente, anche la nostra barca ha approfittato dell’ alta marea.
Le voci che più direttamente hanno contribuito all’ aumento della nostra crescita sono state le esportazioni ed il turismo. Nel caso del turismo il miglioramento è in buona parte conseguenza delle disgrazie altrui, cioè delle turbolenze dei paesi della sponda sud del Mediterraneo, a partire dalla Turchia per finire all’ Egitto e alla Tunisia. Le nostre strutture ricettive e il modello organizzativo del turismo nazionale non mostrano infatti alcun miglioramento della capacità concorrenziale e continuiamo a perdere quote di mercato nei confronti di Grecia e Spagna.
Riguardo al commercio estero, nonostante la mancanza di grandi imprese, dimostriamo invece un notevole dinamismo con un crescente numero di aziende che si misurano con successo nei mercati stranieri. Non trascurabile è, a questo proposito, il fatto che il costo orario del lavoro nel settore manifatturiero, in conseguenza dei lunghi anni di congelamento salariale, si colloca a livelli nettamente inferiori rispetto a Francia e Germania ed è ormai raggiunto da quello spagnolo.
Negli ultimi mesi un sostanzioso contributo alla ripresa è tuttavia venuto dagli investimenti, aiutati dalle nuove regole sugli ammortamenti e dai crescenti incentivi pubblici.
Questo è forse il lato più promettente del nostro attuale quadro economico perché la ripresa della domanda e l’ aumento degli investimenti costituiscono la condizione necessaria per la crescita della produttività, che per tanto tempo è stata stagnante o ha addirittura mostrato un segno negativo.
Non è questa la sede per ribadire che non si colmerà mai il divario di velocità che da troppi anni ci separa dagli altri paesi europei se non metteremo mano alla riforma del nostro apparato burocratico. Mi sembra di avere già troppo annoiato i lettori ripetendo questa semplice e banale verità.
Non è stato invece sufficientemente messo in rilievo il fatto che, se alla ripresa degli investimenti nel settore manifatturiero si aggiungesse una spinta nell’ edilizia e nei lavori pubblici, il quadro
migliorerebbe subito.
Mentre nel campo dell’ edilizia residenziale bisogna in parallelo operare nella direzione di radicali miglioramenti qualitativi (privilegiando ad esempio i grandi progetti di ristrutturazione urbana)
nel campo dei lavori pubblici occorre semplicemente mettere mano all’ esecuzione degli infiniti progetti esistenti e finanziati. Anche se mi accorgo di essere almeno parzialmente in contraddizione con me stesso perché una buona parte dei ritardi è proprio dovuta alle deficienze burocratiche e amministrative menzionate in precedenza.
È tuttavia doveroso ricordare che, nella stessa misura in cui l’ aumento della disoccupazione è stato per molta parte causato dalla crisi dell’ edilizia, anche la sua sostanziale diminuzione dipenderà in grande parte dalla ripresa dell’ edilizia stessa, che tuttavia non potrà e non dovrà ritornare agli elevati livelli del passato.
Per il futuro il quadro non dovrebbe discostarsi molto da quanto avvenuto negli ultimi mesi. Forse un leggero rallentamento della Cina (ma solo marginale) bilanciato da un temporaneo, impulso dell’ economia americana per effetto degli incentivi fiscali alle imprese decisi da Trump. Impulsi fiscali che tuttavia non potranno durare a lungo, dato il notevole aumento del deficit che questi produrranno nel già problematico bilancio pubblico americano.
La crescita mondiale rimarrà quindi intorno al 3,5%, quella europea al 2,2% mentre la Germania crescerà del 2,5% e l’ Italia ancora un punto in meno.
Naturalmente il tutto se non si verificheranno radicali sorprese nei tassi di cambio. Sorprese che, per ora, non sembrano probabili. Il dollaro non dovrebbe oscillare molto rispetto agli attuali livelli poiché, da un lato, i preannunciati aumenti dei tassi di interesse da parte della Riserva Federale dovrebbero tendere a rafforzarlo, mentre il deterioramento della finanza pubblica conseguente alla riforma tributaria agirebbe in senso opposto.
Detto questo dobbiamo tuttavia tenere presente che le probabilità di errore nelle previsioni sull’ andamento dei cambi sono sempre molto elevate. Anzi quasi sicure. Così come le previsioni sul prezzo del petrolio che, razionalmente, non dovrebbe portare grandi sorprese dopo il magistrale accordo che la Russia ha concluso con l’ Arabia Saudita, ottenendo il sostanziale assenso da parte dell’ Iran.
In queste riflessioni sul futuro non abbiamo infine tenuto conto dell’ imprevedibilità del Presidente Trump, delle possibili follie di Kim Jong-Un, dell’ incerto esito delle trattative per formare il governo tedesco e, nel caso italiano, dell’ esito delle elezioni.
Nello scomodo ruolo di prevedere le incertezze della politica mondiale nell’ anno che sta per cominciare abbiamo almeno un elemento di certezza: Putin vincerà le elezioni in Russia!