L’Europa verso il bilancio comune, ma l’Italia rischia di finire sugli scogli
Segnali di crisi – L’Italia non può restare fuori dalla partita finale nella Ue
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 18 novembre 2018
Nelle sue recenti dichiarazioni il Presidente della Banca Centrale Europea ha opportunamente illustrato gli adattamenti delle strategie della BCE resi forse necessari per tenere conto delle nuove incertezze dell’economia mondiale. Draghi ha cioè confermato le precedenti decisioni nei confronti dell’acquisto dei titoli e della politica dei tassi di interesse ma ha prudentemente messo le mani avanti riguardo al futuro, mettendo anche in conto l’eventuale necessità di proseguire più a lungo nella politica di bassi tassi di interesse e di acquisto di titoli pubblici da parte dell’Istituto da lui presieduto, qualora la situazione economica si deteriorasse ulteriormente.
Non si tratta di un cambiamento degli obiettivi ripetutamente confermati ma della consapevolezza che, nelle ultime settimane, siamo entrati in una nuova fase dell’economia mondiale, nella quale l’incertezza ha assunto un ruolo dominante.
Nel terzo trimestre dell’anno in corso l’economia dell’Eurozona è improvvisamente entrata in zona negativa, con una caduta sorprendentemente pesante in Germania, dove il PIL ha registrato una diminuzione dello 0.8% su base annuale: il dato peggiore degli ultimi cinque anni. Altrettanto brusca è stata, contro ogni previsione, la contrazione dell’economia giapponese. In entrambi i casi si deve tenere conto del contributo negativo di fatti straordinari come la contrazione della produzione di automobili dovuta agli scandali del diesel in Germania e tifoni particolarmente violenti in Giappone. Eventi importanti ma non certo sufficienti per cancellare la gravità dell’allarme.
Tanto più che un segnale aggiuntivo di preoccupazione arriva dalla Cina dove si segnala un andamento dei consumi più pigro del previsto, con un sostanzioso calo della produzione automobilistica, per la prima volta in trent’anni. Questo dato può anche essere ritenuto poco significativo se non ci trovassimo di fronte al fatto che, nello scorso anno, la Cina aveva prodotto 29 milioni di vetture, cioè un terzo della produzione mondiale: poco meno, anche se in numero e non in valore, della somma della produzione americana ed europea.
Anche in questo caso è difficile essere certi che si tratti di un’inversione di tendenza duratura perché, in situazioni simili, il governo cinese è sempre intervenuto con una decisiva politica di sostegno alla domanda e agli investimenti. Una politica che si ripeterà probabilmente nel prossimo futuro, anche se l’efficacia di questi interventi sarà resa più problematica da limiti di bilancio e dalla guerra commerciale in corso, della quale non sono ancora definiti i futuri confini.
Ne sapremo qualcosa di più fra dieci giorni quando, in occasione della riunione dei G20 di Buenos Aires, i presidenti della Cina e degli Stati Uniti si incontreranno per discutere delle tensioni commerciali fra i due paesi. Non vi è molto ottimismo sull’esito di quest’incontro ma è già un progresso rispetto alle minacce, agli insulti e alle ritorsioni che si sono susseguiti negli scorsi mesi.
Il quadro dipinto in precedenza potrebbe spingere verso un cupo pessimismo se non vi fosse l’eccezione americana: nel terzo trimestre l’economia degli Stati Uniti ha continuato a crescere ad un favoloso tasso del 3.5% su base annua, anche se rimangono doverosi punti interrogativi sulla durata di tale crescita, dato l’elevato deficit del bilancio pubblico e il permanente passivo della bilancia commerciale, nonostante l’imposizione dei dazi nei confronti della Cina.
Pur sottolineando che non si tratta necessariamente di recessione o di crisi mondiale, bisogna quindi prendere atto che è cominciata una fase di incertezza di cui la leadership europea non può non tenere conto.
La risposta è infatti arrivata dalla possibile flessibilità della futura politica della BCE preannunciata da Draghi e dall’accelerazione del progetto di un bilancio comune dell’Eurozona, formulato nell’incontro fra la Cancelliera tedesca e il Presidente francese.
Anche se dovrà passare ancora molto tempo perché sia messa in atto una concreta e corposa politica di bilancio dell’Eurozona è indubbiamente importante che ci sia finalmente incamminati in questa direzione, pur non essendo ancora di fronte a un progetto con le dimensioni e le priorità ben definite. Nelle dichiarazioni che hanno accompagnato l’accordo si oscilla infatti fra l’accento sugli investimenti portato avanti dal ministro dell’economia francese e la priorità ad un sussidio di disoccupazione europeo contenuta nelle parole del suo collega tedesco.
In entrambe le ipotesi si tratta finalmente (dopo anni di colpevole irresponsabilità) di una possibile politica anticiclica a cui l’Italia sarebbe stata tanto interessata in passato e ancora più lo sarà in futuro. Ed è per questo motivo che, nei confronti di queste proposte, guardano con tanta diffidenza i rigoristi accaniti, a partire da Olanda e Finlandia.
Eppure da questo processo, per noi così potenzialmente favorevole, il nostro paese si tiene ostinatamente fuori e, con il suo euroscetticismo, rimane estraneo a decisioni delle quali finirà semplicemente col subire le conseguenze. La partita “Italia contro Tutti” che si sta giocando nel campo europeo è ridicola e irrealistica. Essa ci ha già portato anche troppi frutti negativi. Dobbiamo infatti tenere ben presente che il nostro girone è quello europeo e dobbiamo parteciparvi senza pensare che si possa vincere contando su impossibili aiuti esterni all’Europa. È quindi ora di cambiare rotta prima di finire sugli scogli.