Non è sovranismo ma provincialismo. E ci rende ancora più marginali
Fare fronte con la Ue
La sola strada per non essere marginali con la Cina
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 28 marzo 2019
Terminata la missione europea del Presidente cinese XI Jinping è ora possibile approfondirne il significato e le conseguenze, superando finalmente le polemiche strumentali.
Questa importante missione sembra infatti avere mutato i suoi accenti, e forse il suo significato, durante il suo stesso svolgimento. Nella fase di preparazione le era stato attribuito un preminente contenuto politico, quasi fosse l’inizio di un mutamento radicale della politica estera italiana, con il conseguente allontanamento dalle sue naturali alleanze. Ovvio quindi non solo la reazione americana ma anche lo smarcamento da parte della stessa Lega che pure, in una prima fase, aveva visibilmente assunto il compito di sottolineare la novità politica del viaggio di Xi Jinping.
La saggezza del Presidente Mattarella e la realtà delle cose hanno parzialmente ridimensionato l’importanza dei capitoli che avevano creato tensioni ed equivoci, come quelli riguardanti materie sensibili quali il 5G. I colloqui romani si sono quindi dimostrati uno strumento importante per cementare il rapporto fra Italia e Cina, rapporto che dovrebbe essere assai più stretto e operativo di quanto non sia stato in passato e di quanto non sia quello fra la Cina e i nostri partner europei, a cominciare da Germania, Francia e Gran Bretagna.
Come riferiscono gli stessi giornali cinesi, Italia e Cina hanno deciso di operare, in modo cooperativo e in continuità col passato, nelle infrastrutture, nella logistica, nell’ambiente, nelle energie rinnovabili, nelle telecomunicazioni, nella sanità, nel settore aeronautico, ed in quello spaziale, con lo scopo di approfondire lo studio e la prevenzione dei terremoti. Si sono inoltre aperti progetti comuni in ambiti più strettamente culturali e umanitari, come la restituzione di opere d’arte e collaborazioni nel campo artistico e delle associazioni filantropiche.
A questo si sono aggiunti progetti di contratti di indubbio interesse, che dovrebbero vedere un aumento della presenza delle nostre imprese in Cina per oltre due miliardi e mezzo di Euro.
Si potrebbe quindi concludere che la buona dose di dilettantismo con cui era stato preparato e presentato l’incontro di Roma è stata stemperata dalla forza delle cose. In fondo tutto è bene quello che finisce bene.
Nel nostro caso però le cose non sono finite qui perché il viaggio di Xi non terminava a Roma ma a Parigi, dove il Presidente Macron, con una notevole dose di cattiveria ma con altrettanto realismo, ha voluto dimostrare che la politica più efficace nei confronti della Cina può essere condotta solo a livello europeo. Come prova di forza, e a dimostrazione dell’isolamento dell’attuale governo italiano, ha trasformato il vertice franco-cinese in un vertice euro-cinese, invitando ai colloqui non solo la Cancelliera tedesca ma anche il Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker.
Macron ha voluto cioè dimostrare a Xi Jinping quale possa ancora essere la forza dell’Europa e ha voluto ribadire come sia determinante il ruolo dell’alleanza franco-tedesca nel gestire le cose europee. A sua volta il Presidente cinese, da consumato politico, ha immediatamente preso atto della realtà dei fatti, definendo la Francia “partner prioritario”.
Non ci dobbiamo quindi sorprendere che gli accordi commerciali conclusi a Parigi eccedano di oltre dieci volte quelli, pur positivi, firmati a Roma e riguardino in primo luogo le vendite di Airbus, impresa nella quale Francia e Germania sono saldamente associate.
Tutti questi accordi, quasi per assurdo, si sono concretizzati in un momento storico che vede aumentare le tensioni non solo fra gli Stati Uniti e la Cina ma anche fra l’intera Europa e la Cina, a partire dalla Germania che pure ha una bilancia commerciale incredibilmente positiva nei confronti del Celeste Impero. Gli imprenditori europei sono infatti sempre più preoccupati del fatto che la straordinaria ascesa e l’incredibile dinamismo del sistema economico cinese interagiscano con l’Europa adottando comportasovranissssssmenti divergenti dalle regole dell’economia di mercato riguardo agli aiuti pubblici, ai brevetti, alla protezione della proprietà intellettuale e al funzionamento della giustizia. Tutto questo mentre il commercio e gli investimenti incrociati fra Unione Europea e Cina hanno assunto un ruolo insostituibile per il futuro di entrambi i partner.
In questi casi, se si vuole evitare un disastro, non resta che impostare una trattativa a largo raggio e a tutto respiro sui temi caldi dei rapporti fra i due colossi dell’economia mondiale, sempre più interdipendenti fra di loro. La situazione di reciproca sfiducia, nonostante gli impegni contenuti nella nuova legge cinese sugli investimenti stranieri, sta infatti montando inesorabilmente e non potrà essere arrestata se non con impegni e controlli, frutto di un nuovo negoziato che, in questa fase storica, è anche un interesse cinese. Si tratta però di un strategia che, proprio come dimostrato dagli avvenimenti dell’ultima settimana, può avere successo solo se portata avanti dall’intera Unione europea. Anche se travestito da nazionalismo, il nuovo provincialismo italiano ci sta infatti rendendo ancora più marginali.