Il successo dei populisti causato dalla frattura fra élite e popolo
Élite e popolo: la caduta delle protezioni dietro la crisi dell’Europa
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 21 aprile 2019
L’inizio della campagna per le elezioni europee ci obbliga, almeno per una volta, a riflettere non tanto sugli avvenimenti del giorno ma sui temi che più hanno determinato i cambiamenti della pubblica opinione e gli orientamenti politici nel nostro paese e, seppure in diversi gradi, in tutti i paesi europei.
Voglio subito anticipare che le riflessioni che seguiranno mi spingono a considerare come causa determinante di questi cambiamenti la caduta della protezione dei cittadini o, ancor più, la loro paura di essere di fronte alla sua caduta futura.
In primo luogo, anche se è già stato ampiamente ripetuto, è bene ribadire che la globalizzazione, che pure ha avuto l’immenso merito di togliere quasi due miliardi di persone dalla povertà, è stata portata avanti senza tenere conto delle conseguenze profonde che essa avrebbe provocato nelle strutture sociali dei paesi a più elevato livello di sviluppo.
Operando in modo congiunto con le inedite caratteristiche del nuovo progresso tecnologico e con il dominio della finanza sull’economia, la globalizzazione ha infatti prodotto una divaricazione tra ricchi e poveri che non ha precedenti nella storia recente. Se vent’anni fa gli analisti più raffinati paventavano l’arrivo della società dei due terzi (nella quale ben un terzo avrebbe avuto gravi difficoltà di inserimento) oggi stiamo entrando nella società in cui solo un terzo dei cittadini si sente pienamente inserito.
In essa il ceto medio viene spinto verso il basso, cioè fra coloro che, col proprio lavoro, non riescono ad arrivare ad un decoroso livello di vita. La compressione dei salari, la disoccupazione e il precariato, a cui si è aggiunta una dinamica depressiva nel ciclo degli investimenti pubblici, hanno messo ai margini una parte sempre più ampia dei cittadini.
Tutto questo ha provocato l’inizio di un indebolimento della protezione del welfare e una diffusa paura che questa caduta si accentui in futuro, accanendosi soprattutto sui due settori che più proteggono i cittadini, e cioè la sanità e il sistema pensionistico.
Per un certo periodo di tempo il risparmio familiare e la solidarietà fra le generazioni hanno rallentato la caduta del sistema economico ma la durata della crisi ha mostrato sempre più i limiti di questo “welfare familiare”e ha messo sempre più a nudo i problemi dei due terzi perdenti.
Essi si sono sentiti abbandonati da un’élite che, pur lodevolmente sensibile al progresso dei diritti civili, non ha invece mostrato una parallela sensibilità nei confronti del degrado degli equilibri economici e sociali. Un’élite che, fondandosi sul successo della propria appartenenza ad una reale o presunta meritocrazia, tollera disuguaglianze che, al di là della loro legittimità, portano al crollo di quel senso di protezione che una società democratica deve produrre per potersi perpetuare.
I cittadini hanno progressivamente abbandonato i loro tradizionali leader non tanto perché li sentivano impreparati o disonesti ma perché li sentivano distanti, in quanto forniti sempre di un paracadute che li ha resi sicuri di fronte a una qualsiasi caduta del sistema scolastico, sanitario o pensionistico. Un’élite che, essendo cittadina del mondo, è per definizione protetta di fronte ai rischi della globalizzazione.
Di qui la comprensibile preferenza degli elettori per coloro che non si distaccano da loro per curriculum di studi, che non hanno esperienze professionali particolari e che, possibilmente, non parlano le lingue straniere. E quindi una profonda avversione, che si traduce in una radicale svolta politica, nei confronti di un’élite tecnocratica che ha prodotto disuguaglianze ingiustificate. Non importa se i rimedi proposti producano differenze ancora più marcate.
La “flat tax”, per esempio, abolendo la progressività delle imposte, aumenta le differenze di reddito e, riducendo gli introiti del settore pubblico, mette ancora più a rischio la sopravvivenza del sistema di welfare. A loro volta i pensionamenti anticipati drenano le risorse necessarie al funzionamento di un effettivo sistema di protezione per i più giovani.
Credo però che sia finalmente arrivata la consapevolezza della necessità di apportare le doverose correzioni ad un sistema che, procedendo come in passato, renderebbe tragicamente irreparabili le fratture che già abbiamo riscontrato.
Ad esempio, a livello europeo (l’unico possibile per essere efficace) è stato approvato un provvedimento che, con la protezione dei diritti d’autore, frena lo strapotere delle multinazionali dell’informazione, così come si è finalmente obbligato Apple a pagare uno straccio di imposta all’Irlanda che, con l’Olanda e il Lussemburgo, è sostanzialmente divenuto un paradiso fiscale.
A quest’inizio di una nuova consapevolezza nei confronti della necessità di una solidarietà europea si aggiunge il fatto che, dopo il disastro della Brexit, nessuno più parla di un’uscita dall’Euro e, tantomeno, dall’Unione.
Nella prospettiva di una nuova coscienza della necessità di mutare il rapporto fra élite meritocratica e protezione ha fatto infine irruzione la quasi incredibile proposta di Macron di chiudere l’ENA, cioè la scuola che è nata ed è cresciuta con lo specifico ed esclusivo compito di formare l’élite francese. Che sia anche questo un tentativo (non so se appropriato o no) di ricucire il tessuto sociale?
Per ora accontentiamoci di prendere atto della grande e stupefacente partecipazione di tutta l’Europa al dolore per l’incendio di Notre Dame, un dolore che ha messo in un’inaspettata luce le nostre comuni radici spirituali e civili. Mi auguro che questa rinnovata consapevolezza della condivisa appartenenza sia un segnale di risveglio di una nuova solidarietà fra la classe dirigente e il popolo europeo.