Tregua USA-Cina: ecco come l’Europa può evitare danni
Effetto dazi: ora l’Europa eviti danni dalla tregua Usa-Cina
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 19 gennaio 2020
Dopo due anni di sfracelli è stato annunciato, con grande fanfara, un mega-trattato commerciale fra la Cina e gli Stati Uniti. Al di là delle dichiarazioni trionfali, sarà bene esaminare le novità portate da quest’accordo composto di ben 86 pagine, otto capitoli, un preambolo e siglato mercoledì scorso tra il presidente americano Trump e il vice primo ministro cinese Liu He.
Il contenuto è, in fondo, molto semplice. Si vuole provvedere, almeno nelle intenzioni, ad una diminuzione del deficit commerciale americano attraverso l’impegno cinese di acquistare una quantità addizionale di 200 miliardi di dollari di beni prodotti negli Stati Uniti. Questo è incoraggiante anche se la cifra, per la sua dimensione, è difficilmente credibile.
E, se pure lo fosse, non porterebbe automaticamente alla diminuzione del deficit USA: non si fa menzione, infatti, del possibile contemporaneo aumento di esportazioni cinesi. Si tratta tuttavia di un messaggio politico rassicurante, anche se dovesse essere ridimensionato dal punto di vista quantitativo, inviato dal presidente americano ai suoi elettori. Viene infatti precisato che le maggiori importazioni cinesi dovranno comprendere prodotti manifatturieri, agricoli ed energetici che, per una buona parte, provengono da aziende agricole o da imprese manifatturiere localizzate proprio dove si decideranno gli esiti delle elezioni americane del prossimo novembre.
A questo si aggiunge l’impegno cinese di concedere una maggiore protezione della proprietà intellettuale, un più trasparente accesso ai tribunali da parte delle imprese americane, un più facile riconoscimento dei brevetti e delle origini geografiche dei prodotti. Si prevedono inoltre una diminuzione di alcune tariffe sull’importazione di carni e cereali e l’avvio di una certa apertura ai servizi finanziari e alle carte di credito. E infine si affianca un pur non ben definito impegno a non utilizzare la svalutazione della moneta come strumento di concorrenza indebita.
Rimangono naturalmente in vigore quasi tutte le pesanti tariffe doganali introdotte negli ultimi due anni, tariffe che si aggirano intorno al 20% in entrambe le direzioni.
Nelle 86 pagine non si tocca tuttavia il problema dei sussidi statali, del ruolo delle imprese pubbliche nei rapporti economici fra i due colossi e neppure il grande problema dello scontro tecnologico che, a partire dal caso Huawei e dalle guerre cibernetiche, ha avvelenato, e tuttora avvelena, i rapporti tra i due leader mondiali. E nemmeno si fa parola di quando e come verrà portata avanti una seconda fase delle trattative, della quale pur si parla negli accordi conclusi.
Per alcuni aspetti, come quello della proprietà intellettuale, più che di nuove decisioni, si tratta della ratifica di convergenze che erano già maturate in precedenza; per altri, come l’acquisto dei prodotti agricoli, occorre tenere conto che, nel frattempo, la Cina ha concluso contratti di importazione da altri paesi, fra i quali, anche se in misura non determinante, da alcune nazioni europee.
Pur tenendo conto di queste riserve, non bisogna sottovalutare l’importanza di quest’accordo anche se, per le incertezze descritte, si tratta più di una tregua che di una pace. Tuttavia ritengo che il trattato possa non solo contribuire a rasserenare il clima dell’economia mondiale, ma anche a trasmettere un non trascurabile impulso alla crescita globale che negli scorsi mesi è stata soprattutto rallentata dalla caduta del commercio internazionale.
E anche se non siamo di fronte a un cambiamento di rotta della politica mondiale, penso che questo compromesso possa durare nel tempo perché, almeno per un certo periodo, porta beneficio a tutte e due le parti.
Giova certamente alla strategia elettorale di Trump, che infatti lo ha annunciato con toni trionfalistici, non solo per la favorevole accoglienza da parte di coloro che ricevono un vantaggio dalle maggiori esportazioni, ma anche perché rimuove uno degli elementi di incertezza che gravavano sul futuro dell’economia americana. Rimangono evidentemente tutte le precedenti enormi divergenze politiche, ma la resa dei conti viene rinviata almeno a dopo il confronto elettorale. E l’accordo giova ancora di più ai cinesi che, rinunciando soprattutto ad alcune prerogative non più sostenibili, hanno comprato tempo prezioso per guadagnare terreno nella corsa verso l’indipendenza tecnologica, in molti campi condizionata dall’attuale superiorità degli Stati Uniti. La tregua è quindi una spinta aggiuntiva alla rincorsa cinese.
Si è diffuso negli scorsi giorni un giustificato timore (di cui si è fatto interprete il Commissario europeo al Commercio) che quest’accordo possa danneggiare i nostri interessi. Questo è un pericolo reale perché, se le cifre annunciate fossero rispettate, le maggiori importazioni non potrebbero che ostacolare le esportazione di altri paesi. Non è infatti pensabile che la Cina possa aumentare le sue importazioni nette della gigantesca cifra di 200 miliardi.
Pur riconoscendo gli aspetti positivi di quest’accordo, dovremo quindi essere vigili affinché i nostri interessi siano tutelati e le pur prudenti concessioni cinesi siano estese anche agli operatori europei. Non sarà facile, ma la forza economica di un’Europa unita è ancora capace di ottenere grandi risultati.