Ora insieme agli USA per un commercio mondiale meno conflittuale
L’accordo cinese: le regole condivise che servono all’Europa
Articolo di Romano prodi su Il Messaggero del 17 gennaio 2021
Non solo in Italia, ma nel mondo intero, succedono tante cose quando vi è un vuoto di potere. Non voglio in questa sede ritornare su quanto è successo negli Stati Uniti da quando Biden ha vinto le elezioni, perché su questo si è già detto molto. Mi limito semplicemente ad attirare l’attenzione su quanto è avvenuto al di fuori degli Stati Uniti, durante i due mesi e mezzo nei quali il complicato passaggio dei poteri ha lasciato un vuoto nella politica estera del paese ancora leader del mondo.
Partiamo da Est: la Cina si è affrettata in poche settimane a occupare lo spazio lasciato libero da Trump quando, improvvisamente, si ritirò dal grande progetto di accordo commerciale fra gli Stati Uniti e i paesi del Pacifico, un progetto nato per emarginare la Cina. Il ritiro, per molti incomprensibile, era dovuto non solo al fatto che il trattato era stato concepito da Obama, ma alla profonda convinzione di Trump che gli Stati Uniti, data la loro forza, dovessero preferire i rapporti bilaterali con i singoli paesi rispetto agli accordi multilaterali.
Con questa strategia, Trump ha minato definitivamente il sistema del commercio mondiale, che pure era largamente imperfetto, senza però proporre alcuna alternativa e lasciando del tutto interdetti i suoi alleati. Fedele al principio che la politica non tollera il vuoto, la Cina si è sostituita all’America nell’organizzare un grande mercato asiatico, che comprende quasi un terzo della popolazione e del commercio internazionale di tutto il pianeta. Il fatto straordinario è che questo nuovo schema di accordo, voluto dalla Cina, include anche paesi strettamente alleati agli Stati Uniti, come il Giappone, la Corea del Sud e Singapore.
Da Est ci spostiamo a Ovest, dove l’Europa non è stata da meno in termini di velocità. Dopo sette anni di trattative ad andatura di lumaca, l’Unione Europea ha firmato, con la velocità di un fulmine, uno schema di accordo con la Cina sugli investimenti, sulle regole del commercio, sul ruolo dello Stato e sulle pratiche distorsive esistenti nei rapporti fra Europa e Cina.
La fretta europea è stata favorita non solo dal vuoto americano, ma dalla necessità di concludere il progetto di accordo durante il semestre di presidenza tedesca dell’Unione, dati gli immensi interessi germanici nei rapporti economici con la Cina.
Conviene a questo proposito ricordare che, proprio nel 2020, la Cina è diventato il maggiore partner commerciale dell’Unione Europea, superando gli Stati Uniti. Ed è bene tenere presente che quasi il 40% di questo interscambio fa capo alla Germania. La vita dei grandi colossi industriali tedeschi dipende ormai in modo determinate dalla Cina: per questo motivo la Germania si è affrettata a mettere in atto la dottrina esposta sinteticamente da Joerg Wuttke, presidente della Camera di Commercio tedesca in Cina, che ha ripetutamente affermato che le trattative con Pechino sono necessarie semplicemente perché “se non sei al tavolo, sei nel menu“!
Naturalmente questo salto in avanti della Cancelliera tedesca non ha trovato d’accordo tutti gli europei, profondamente divisi sul fatto che esso danneggi o favorisca il progresso dei diritti umani o l’adesione alle regole dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro da parte del governo cinese.
Una divisione che, anche senza tenere conto delle diversità di opinione all’interno della stessa politica tedesca, assumerà toni ancora più radicali quando il progetto di accordo sarà discusso nel necessario passaggio di fronte al Parlamento Europeo.
I responsabili della nuova amministrazione americana si sono ovviamente affrettati a criticare il passo europeo, esprimendo un aperto disappunto sul fatto che l’Europa, forse approfittando del vuoto americano, non abbia atteso il tempo necessario per elaborare una politica comune.
Facile è stata la replica europea nel ricordare che il contenuto del possibile accordo fra Cina ed Europa è sostanzialmente identico a quello che Trump aveva proposto un anno fa al governo cinese, non solo senza farne parola agli alleati europei, ma dando la priorità ad alcune clausole che miravano alla riduzione del deficit americano soprattutto a scapito degli interessi europei.
Pur consapevoli che la tensione anticinese è condivisa da democratici e repubblicani, non sappiamo ancora quale sarà la politica della nuova amministrazione americana.
Per ora non possiamo che accogliere con grande favore le ripetute affermazione di Biden che gli Stati Uniti possono essere forti solo se lavorano “insieme” ai propri alleati.
Anche se la parola “insieme” è spesso vittima di usi inappropriati, essa sottintende che, nell’operare “insieme”, siano rispettate le esigenze e i diritti di tutti i partecipanti.
Comprendo quindi che, da parte americana, si possa esprimere un certo rammarico sul fatto che tutto questo sia avvenuto durante il loro vuoto di potere, ma sono tuttavia convinto che le decisioni prese costituiscano un passo in avanti per operare veramente “insieme”, cioè a parità di condizione in un settore, come quello commerciale, nel quale l’Unione Europea non è certo inferiore agli Stati Uniti.
Cominciamo quindi a ritornare a lavorare “insieme” per preparare poi un passo ulteriore, che dovrà essere quello di riscrivere le nuove regole per un commercio mondiale meno conflittuale di quello che si è venuto a creare negli ultimi anni.
Non sarà certo un’impresa facile.