Ministero per lo Sviluppo Economico, un’amnesia nel Paese dei ritardi
Il Ministero vuoto. Sviluppo, un’amnesia nel Paese dei ritardi
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 24 luglio 2010
Da mesi le voci che chiedono la nomina di un nuovo ministro per lo Sviluppo si susseguono invano e la poltrona di un dicastero così importante è rimasta desolantemente vuota fino a che un robusto richiamo del Presidente della Repubblica ha indotto il presidente del Consiglio a ripensarci.
Finalmente la prossima settimana dovremmo quindi avere qualcuno incaricato di curarsi dell’economia reale e delle politiche da seguire per riparare almeno parzialmente i danni provocati dalla più grave crisi industriale degli ultimi decenni.
Questo vuoto di potere, forse dovuto soprattutto alla difficoltà di trovare un successore, è stato ripetutamente motivato da un avversione al concetto stesso di politica industriale, come se l’azione del governo fosse un elemento di freno e non di spinta per lo sviluppo economico. Tutto questo in un momento in cui, anche senza chiamarla per nome, la politica industriale costituisce il pezzo forte anche dei Paesi che più si fondano sull’economia di mercato.
Lo è in Germania dove accanto al ministero responsabile per la politica finanziaria vi è un’istituzione simmetrica che guida l’economia reale, lo è negli Stati Uniti, dove risorse impressionanti sono indirizzate verso settori innovativi, a partire dalla ricerca e dalla produzione delle nuove fonti di energia. Non parliamo naturalmente della Francia dove gli interessi nazionali vengono difesi con strumenti che vanno forse anche al di là delle condivise regole europee.
In Italia si è lasciata per mesi e mesi la poltrona vuota mentre, ovviamente, gli altri ministri cercavano di spolpare i vari fondi e le varie competenze del ministero dello Sviluppo togliendogli non solo le risorse ma i poteri di coordinamento che erano stati alla base della sua nascita, anche se raramente tali poteri erano stati effettivamente esercitati.
Una volta posto termine a questo periodo di cannibalismo e ripristinata la propria autorità, il nuovo ministro avrà sul suo tavolo un’agenda con alcuni compiti precisi.
In primo luogo dovrà riprendere la promozione di un efficace funzionamento delle regole della concorrenza e del mercato, regole che non possono essere fatte rispettare separatamente dai diversi ministeri. Frammentando la politica della concorrenza, ogni ministro controllore finisce nelle mani dei propri controllati. I mercati hanno bisogno di ben altro.
In secondo luogo ci vuole qualcuno che coordini tutti gli strumenti necessari per l’ingresso nei settori innovativi, come le scienze della vita e le energie pulite, e che aiuti la riorganizzazione e la strategia globale dei nostri settori forti come il made in Italy e i beni strumentali. Bisogna inoltre che abbia la capacità di aiutare la produzione di nuove idee e di assicurare che le idee creative si trasferiscano rapidamente dalle università e dai centri di ricerca verso il mondo produttivo. E che le politiche fiscali e le politiche scolastiche tengano conto non solo dei propri sacri e inviolabili obiettivi ma anche delle future necessità del Paese.
Vi è un terzo compito che mi sembra particolarmente vitale per noi, cioè quello di coordinare tutti gli strumenti per fare in modo che gli investitori esteri ritornino a considerare l’Italia come un Paese attraente per i loro investimenti. Il progresso dell’industria, in un mercato aperto, non può fare a meno del contributo di innovazione portato dagli investimenti esteri, mentre anche le statistiche più recenti provano che i grandi investitori internazionali si tengono sempre più alla larga dal nostro Paese.
In un periodo di diffuse crisi aziendali come quello in cui viviamo non possiamo inoltre continuare a non avere un centro di riflessione e di organizzazione degli strumenti per fare fronte a queste crisi, lasciandone la responsabilità politica alle sole competenze del ministero del Lavoro, per sua natura deputato a trovare rimedi e non a ricercare soluzioni.
Come ulteriore osservazione vedo la necessità di riprendere i fili della politica territoriale, sia riguardo alla reinterpretazione del ruolo dei distretti industriali che al ripensamento della politica per il Mezzogiorno, oggi definitivamente abbandonata.
Mi auguro infine che su questi temi si apra finalmente un dibattito che coinvolga tutte le parti interessate, a cominciare da Confindustria, che ho visto più interessata a dettare le ricette macroeconomiche al governo che non ad approfondire analiticamente e concretamente i nuovi problemi e le nuove esigenze dell’industria, che è e dovrà rimanere un pilastro fondamentale ed insostituibile della nostra economia.
È quindi necessario rispondere subito all’invito del Presidente della Repubblica prima che il ministero dello Sviluppo venga completamente svuotato delle competenze e dei poteri necessari per una nuova politica industriale.