Sanzioni alla Russia: gli interessi che dividono il fronte occidentale
Sanzioni alla Russia – Gli interessi che dividono il fronte occidentale
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 22 maggio 2022
Anche se nessuno è in grado di prevedere quando e come finirà la guerra di Ucraina, è già comune opinione che, dal punto di vista militare, si tratti di una sconfitta russa, dovuta non solo all’imprevidenza dell’operazione ma, soprattutto, alla straordinaria unità del mondo occidentale.
L’invasione russa ha infatti prodotto non solo un concorde supporto alla resistenza ucraina, ma ha provocato un enorme e inaspettato aumento delle spese militari da parte della Germania e il processo di entrata nella Nato di Finlandia e Svezia.
Certamente per Putin una sconfitta a cui la Russia si sforza di porre rimedio con la politica dell’energia, settore nel quale è enormemente più forte e gli europei divisi fra di loro e con interessi diversi nei confronti degli americani.
Questa sciagurata guerra, prima di tutto, cambia profondamente le decisioni che l’Unione Europea aveva preso nei confronti della transazione energetica. Non solo non si è mai consumato tanto carbone come negli ultimi mesi, non solo si stanno riconvertendo al carbone centrali elettriche che funzionavano a gas, ma in tutto il mondo si stanno decidendo investimenti nel carbone che, per essere convenienti, dovranno avere una durata media di venti anni. In poche settimane l’agenda politica non è più dominata dall’ambiente, ma dalla sicurezza e dalla convenienza economica e, anche da parte dell’Unione Europea, questa è diventata la priorità.
Non solo si assiste ad un cambiamento radicale nel campo ambientale, ma l’European Green Deal appare sempre più difficile da mettere in atto perché troppo diversi sono gli interessi dei paesi europei. Germania e Italia dipendono dai metanodotti e soprattutto dalla Russia, la Francia conta e punta sempre più sul nucleare e la Spagna viene alimentata dalle forniture di lungo periodo di gas liquefatto che viene accolto dalle sei grandi stazioni che aveva costruito, anche in vista di una loro esportazione in Francia, che avviene in minima parte proprio perché il governo francese non ha mai permesso che si costruisse una concorrenza alla propria industria nucleare.
Come risultato, il gas naturale costa in Italia quattro volte di più rispetto alla Spagna. Come possiamo avere una politica in comune partendo da interessi così divergenti? Siamo arrivati al punto che la Germania non accetta di importare gas odorizzato dagli altri paesi, odore che viene comunemente immesso nei gasdotti per aumentare la sensibilità degli utenti in caso di perdite.
Di fronte a questa frammentazione, abbiamo Gazprom russa che, nello scorso anno, ha prodotto 540 miliardi di metri cubi di gas, più di quanti ne abbiano prodotti Shell, Eni, BP, Chevron, Saudi-Aramco e Exxon-Mobil messi insieme. La Russia ne ha consumati 331 al suo interno e ne ha venduti ben 155 all’Europa.
La nostra sfida è di trovare presto il sostituto di queste importazioni. Tutti sono d’accordo che nel magico periodo di cinque anni, quindi entro il 2027 – come indicato nel recente REPowerEU – questo sarà possibile puntando sul risparmio energetico, sole, vento, biofuel, idrogeno e un forte aumento di importazioni di gas liquefatto.
Il problema è come fare passare questi cinque anni con una strategia che dia subito frutti. Per ora è cominciata solo la corsa di tutti i paesi per attrarre la quantità addizionale di gas liquefatto disponibile nel mercato e aumentare l’arrivo di gas che non proviene dalla Russia.
Si tratta naturalmente di quantità limitate perché i tre grandi impianti di gassificazione del Mare del Nord operano al pieno della loro attività e così anche quelli esistenti nelle coste italiane, mentre la capacità in eccesso della Spagna non ha connessione con gli altri paesi europei. Per limitarci all’Italia si può calcolare che, nello spazio di quest’anno, potremmo importare 9 miliardi di metri cubi aggiuntivi rispetto ai 29 che lo scorso anno abbiamo comprato dalla Russia.
Questo è lo stato di fatto e queste le differenze di interesse fra i diversi paesi europei. Differenze che, pur con diverse modalità, toccano non solo il mercato del gas, ma anche quello del petrolio, che ha già messo in difficoltà le raffinerie siciliane che comperano il greggio russo. La strategia comune nel confronto politico e militare con la Russia non si traduce in una comune azione nel campo dell’energia.
Mentre il governo americano e quello italiano propongono un tetto al prezzo del greggio, la Germania si oppone per timore che questo provochi la totale interruzione delle forniture russe, con drammatiche conseguenze sulle imprese e sui cittadini. Alla fine i veti ungheresi finiscono con l’essere un paravento utile per nascondere divergenze ben più diffuse.
Queste diversità hanno quindi reso finora impossibile una comune strategia di breve periodo e reso poco concludenti le numerose riunioni di Bruxelles.
Anche fra Stati Uniti ed Europa non vi è, nel campo economico, la stessa solidarietà che esiste nel campo politico.
Non soltanto per l’elevato prezzo del gas venduto dagli Stati Uniti all’Europa, ma ancora una volta per la differenza di interessi, dato che le sanzioni colpiscono molto di più chi ha legami economici più stretti con la Russia, cioè noi europei.
Infatti la ex Presidente della Riserva Federale americana Yellen ha dichiarato che la guerra in Ucraina sta accendendo una minaccia di recessione in Europa, ma non in America. Una situazione che abbonda di analisi, ma che prevede decisioni economiche comuni solo nel campo delle sanzioni e non nella solidarietà e nella condivisione delle conseguenze della guerra, non può che portare ad una maggiore divisione fra i paesi europei e fra le due sponde dell’Atlantico.
Non è pensabile che quello che la Russia non riesce a conquistare con le armi, lo possa invece ottenere con il petrolio e con il gas.