Crisi energetica: la stagione dei sacrifici prima del voto
Crisi energetica – la stagione dei sacrifici prima del voto
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 19 giugno 2022
La guerra di Ucraina continua con le sue tragedie, con i suoi morti e con le sue distruzioni. Nel frattempo si aggravano anche le conseguenze di carattere non strettamente militare di un conflitto ormai divenuto mondiale.
Eventi di particolare importanza per il nostro futuro sono avvenuti anche nel corso della settimana che abbiamo alle spalle: è bene cercare di analizzarli, metterli in ordine e, possibilmente, legarli fra di loro.
L’evento più importante è stato il viaggio di Scholz, Macron e Draghi a Kiev.
Una missione dedicata non solo a riassicurare l’Ucraina sulla concreta solidarietà europea nella guerra in corso, ma anche a offrire al paese vittima dell’invasione russa una prospettiva per il futuro: l’adesione all’Unione Europea.
Vi è naturalmente ancora un margine di incertezza sul valore definitivo di quest’offerta, perché essa dovrà essere confermata con voto unanime dal Consiglio Europeo del prossimo 23-24 giugno.
La prospettiva di adesione è stata presentata in modo corale e unitario da tutti e tre i leader e, essendo appoggiata dalle massime istituzioni europee, costituisce un impegno solenne e, credo, irrevocabile.
Si tratta inoltre di una concreta risposta a paesi come la Polonia o i Baltici che accusavano l’Unione Europea (e soprattutto la Germania) di essere troppo accomodante nei confronti della Russia. Tale impegno, tuttavia, deve essere armonizzato con le analoghe aspettative create nei confronti dei paesi dell’ex Jugoslavia e dell’Albania.
Aspettative che si prolungano ormai da molti anni e che sono state spesso frustrate da continui rinvii e nuove difficoltà, come quelle recentemente sollevate da Macron nei confronti della Macedonia del Nord e dell’Albania.
Non nascondiamoci inoltre che molti paesi temono che l’Ucraina, una volta entrata nell’Unione, divenga destinataria di una cospicua quota dei sostanziosi contributi oggi riservati alla loro agricoltura.
Esistono inoltre problemi e ostacoli interni all’Ucraina che spostano nel tempo la concreta realizzazione di questo proposito. Prima di tutto è evidente che un negoziato di adesione non può cominciare durante una guerra.
Inoltre, nei tempi successivi all’auspicata fine del conflitto, si dovrà procedere all’esame di tutti i 35 capitoli nei quali si articolano le condizioni per entrare nell’Unione. Nel caso dell’Ucraina assumono particolare rilievo i capitoli che riguardano il funzionamento del sistema giudiziario e delle autorità antiriciclaggio, la protezione dei diritti delle minoranze e il ruolo degli oligarchi nel controllo dell’economia del paese.
Si tratta quindi, necessariamente, di un processo che si prolunga nel tempo, mentre sono state rapidissime e, purtroppo, immediatamente efficaci, le reazioni di Putin, che ha subito proceduto a una sostanziosa diminuzione della fornitura di gas, riducendo a quasi la metà la portata del grande gasdotto del nord, che lega direttamente la Russia alla Germania senza passare dall’Ucraina.
Da parte russa si è portata avanti la scusa che questa diminuzione sia dovuta alla mancanza di pezzi di ricambio dei gasdotti che, essendo fabbricati in occidente, non possono essere consegnati proprio a causa delle sanzioni.
Una scusa evidente in quanto in passato, nel caso di eventi analoghi, una quantità supplementare di gas veniva immediatamente fatta transitare da gasdotti alternativi. Due sono la conseguenze di questa decisione.
La prima è che il prezzo del gas è ulteriormente impazzito portando nuove cospicue risorse nelle casse del Cremlino.
La seconda è che la restrizione è di tale portata che viene seriamente messa in dubbio la nostra capacità di preparare le riserve di gas necessarie per fare fronte ai consumi del prossimo inverno.
Riserve che, già oggi, sono sostanzialmente inferiori a quelle degli scorsi anni. Inoltre, dato che piove sempre sul bagnato, il più importante impianto di liquefazione degli Stati Uniti, che fornisce oltre un quinto della capacità produttiva americana, dovrà rimanere fermo per molti mesi (forse fino alla fine dell’anno) a causa di un incendio.
Le potenziali esportazioni americane in Europa, che già non potevano essere in quantità sufficiente e prevedevano comunque prezzi mercato elevati, si stanno quindi ulteriormente assottigliando.
Ci troviamo quindi ancora una volta di fronte a una strategia asimmetrica: da un lato le nostre decisioni hanno un effetto di lungo periodo, mentre le ritorsioni russe hanno un effetto immediato e, ascoltando i toni del recente discorso di Putin a San Pietroburgo, aumenteranno di intensità già nel prossimo futuro.
In un futuro più lontano arriveranno rifornimenti alternativi e energie rinnovabili ma, almeno per i prossimi due inverni, dovremo accompagnare la speranza di un miglioramento della situazione con un programma di riduzione dei consumi.
Lo sta già facendo la Germania, ma lo dobbiamo preparare in fretta anche noi, ovviamente nella speranza che non serva. Mi rendo conto che un programma di questo tipo, che deve stabilire regole e priorità, non può che generare scontenti.
Vi sono tuttavia dei momenti nei quali un governo che intende perseguire il bene comune è obbligato a creare scontenti. Anche nei mesi che precedono le elezioni.