Se Meloni fa come Orban, l’Europa reagirà
Romano Prodi: “Se Meloni fa come Orban, l’Ue reagirà. Non sosterrò nessuno al congresso Pd”
L’ex premier: «Le basi ideologiche del Partito democratico vanno rifondate, ma è un errore partire dai nomi»
Intervista di Fabio Martini a Romano Prodi su La Stampa del 28 settembre 2022
Sorride amaro il Professore e nel suo ufficio nel centro di Bologna ripete: “Che libecciata, che libecciata!”. L’uomo è fatto così: anche nelle circostanze avverse, come la vittoria della destra alle elezioni, Romano Prodi è un padano che sdrammatizza con metafore che alludono alla natura circolare degli eventi, ad una sconfitta che può preparare una rivincita.
Ma chi lo conosce bene, assicura che stavolta Prodi è più contrariato del solito e infatti se gli si chiede se nelle capitali europee ci sia preoccupazione per l’imminente governo Meloni, lui risponde così:
“Punti interrogativi so che ne hanno. E ne debbono avere, considerando le affermazioni e le amicizie che Meloni non ha rinnegato. Però gli interrogativi non devono basarsi sulla campagna elettorale, ma dovranno riguardare i comportamenti. A Bruxelles non sono chiamati a fare i tutori, ma vi sono regole europee che abbiamo sottoscritto e che devono essere rispettate. Quando Heider, leader di estrema destra, vinse le elezioni in Austria, ero presidente della Commissione europea. Ricevetti pressioni fortissime, a cominciare da Chirac, per irrogare sanzioni all’Austria per affermazioni durante la campagna elettorale. Io risposi di no, perché bisognava misurarsi con i comportamenti concreti. E questo sarà l’atteggiamento che terranno i nostri partner europei”.
Crede che a Bruxelles, Berlino e Parigi abbiano buoni motivi per essere preoccupati?
“Per stare attenti sì. Se l’amore per Orban si tradurrà in comportamenti ungheresi, io credo che reagiranno“.
Perché gli italiani hanno scelto Meloni?
“È la naturale prosecuzione di una storia che dura da anni: gli italiani vanno alla ricerca del “fenomeno”. I partiti sono destrutturati e si vota per emozioni. Gli opinion polls davano un gradimento altissimo per Draghi e poi quegli stessi italiani hanno premiato, con risultati superiori alle previsioni, i due partiti che più hanno avversato Draghi: Fratelli d’Italia e i Cinque stelle che hanno aperto la crisi e hanno affossato il governo. Fenomeni misteriosi se non fosse che oramai si vota col cuore, col fegato, con l’istinto ma certamente non con la ragione”.
Meloni non è diversa dai “fenomeni” che l’hanno preceduta?
“In realtà tutte le ultime tornate elettorali hanno prodotto effetti molto simili. La sequenza è eloquente: abbiamo avuto Renzi, i Cinque stelle, Salvini e ora Meloni. Semmai possiamo dire che Meloni non ha raggiunto le quantità degli altri”
Perché ha vinto e non stravinto, secondo lei?
“Forse l’ascesa è stata frenata dalle sue ascendenze politiche, alle quali mi sembra ancora abbastanza fedele”.
Meloni era stata attenta a non “ego-centrare” la sua presenza, ma ora i media hanno scovato madre e sorella, lei ha “postato” una dedica della figlia e ha fatto capolino il personal trainer: sta cambiando anche lei?
“Ma questa evoluzione è naturale, rientra tra i canoni del personaggio-fenomeno. In compenso, in campagna elettorale sono scomparsi tutti i ragazzi dei Fratelli d’Italia”.
In che senso?
“Nel senso che in campagna elettorale Meloni ha fatto sparire tutti: non è esistito nessun altro, a parte il suo consigliere ex democristiano Guido Crosetto “.
E se fosse il segno di un ascensore politico che funziona? Le liste di FdI erano fatte di quadri di partito altrove in estinzione.
“Appunto: gli elettori hanno votato il “fenomeno”, ma al potere ci va il partito”.
Come persona e come leader, che le pare di Giorgia Meloni?
“È estremamente abile. Per la capacità di cancellare ogni altra presenza e per come ha utilizzato la sua opposizione al governo Draghi. A suo favore possiamo dire che potrebbe essere la prima donna premier”.
Il governo Meloni rischia di durare poco?
“Presto per dirlo. Certo, le promesse le fanno tutti, ma puntualmente ogni governo è poi chiamato a scontrarsi con la realtà. In più il futuro governo dovrà fronteggiare non solo una difficile congiuntura economica, ma anche un problema che nel passato non esisteva: una politica estera che comprende una guerra. E i componenti della maggioranza hanno opinioni molto diverse tra loro rispetto alla guerra in Ucraina e ai suoi “contorni””.
La campagna buoni contro cattivi di Letta non ha funzionato: perché?
“Letta ha condotto una campagna di ragionamento e non di slogan. Forse non era il momento. Ha però sostenuto il governo e ha avuto il merito di continuare a farlo, nonostante una fase di scontento e di grande preoccupazione tra gli italiani”.
Prima delle elezioni a Bologna si diceva: se va male, Prodi sosterrà Elly Schlein come futura leader. Vero?
“Una invenzione totale! Non appoggerò nessuno, non farò endorsement, non entrerò assolutamente nel congresso che farà il Pd, ma che personalmente chiedo dal 2019. Sono passati tre anni! Pensavo allora, e penso ancora, che sia urgente rifondare le basi ideologiche e programmatiche del Pd. Ma che errore partire dai nomi! Si parta da un grande dibattito popolare, centrato su una quindicina di temi che stanno a cuore alla gente, quelli dei quali si parla a tavola: energia, scuola, salute, cambiamento climatico. Ogni settimana una ventina di personalità, interne ed esterne al partito, ne discuta in rete con migliaia e migliaia di persone, se ne estraggano poi delle tesi sulle quali il partito dovrà misurarsi”.
Due anni fa i capi del Pd definirono Conte addirittura un punto di riferimento dei progressisti. Diversi elettori hanno finito per crederci?
“Nelle ultime settimane sono stati i Cinque stelle a definirsi progressisti, sia pure in modo strumentale ma per i loro obiettivi molto intelligente. Per raccogliere i voti degli scontenti e dei ceti più disagiati, i Cinque stelle si sono spostati a sinistra, anche perché hanno trovato un serbatoio lasciato vuoto. E questa è una responsabilità anche del Pd. E tuttavia, anche se il Pd si è autodistrutto con i suoi conflitti interni, resta l’unico vero partito. Ma attenzione: se si va a Congresso, partendo dai nomi, vorrà dire che pure il Pd ha scelto di affidarsi ad un leader-fenomeno”.