Manovra: soltanto la crescita può far tornare i conti
Soltanto la crescita fa tornare i conti
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 19 ottobre 2024
All’inizio dell’anno si pensava che il 2024 avrebbe potuto porre termine all’ormai lunga guerra di Ucraina e al conflitto fra Israele e Palestina. Nello stesso tempo, si riteneva assai probabile un forte peggioramento dell’economia mondiale.
Le cose sono andate diversamente. I conflitti sono aumentati per ferocia ed estensione e, anche se la nostra attenzione si concentra sulla guerra di Ucraina e sulla tragedia palestinese, dobbiamo purtroppo constatare che, in Sudan, una feroce guerriglia produce milioni di vittime e di profughi, il Mar Rosso è diventato una palestra di tiro da parte degli Huthi, l’Iran continua a svolgere il suo ruolo di destabilizzazione e, nel corno d’Africa e in tutto il Sahel, le lotte tribali e le penetrazioni terroristiche la fanno ormai da padrone.
Nonostante questo quadro politico desolante, l’economia mondiale ha continuato a procedere in una situazione di sostanziale normalità. La crescita globale si situerà infatti attorno al 3,2%: la Cina al 4,8%, i paesi emergenti un po’ sopra il 4%, gli Stati Uniti con un buon 2,6% e, in coda, l’area dell’Euro con un misero 0,7%.
L’economia e la politica marciano quindi per strade separate, come mai in passato. Perfino la Russia, impegnata nella feroce guerra contro l’Ucraina, vede il suo PIL aumentare del 3,6%.
Può sembrare addirittura un’ironia della storia trovare in coda alla classifica della crescita proprio l’Europa che, nonostante tutto, è uno dei pochi angoli di pace e di sicurezza dell’intero pianeta.
In questo quadro l’Italia si trova sostanzialmente nella media europea, anche se, nel corso dell’anno, la nostra economia è stata oggetto di giudizi tra di loro contraddittori, dettati più da pregiudizi che da una seria analisi della realtà.
Quando le statistiche hanno stimato che il nostro tasso di crescita si situava ad un livello dello 0,1% sopra la media europea si è inneggiato alla grande ripresa italiana e, quando la correzione dell’Istat lo ha ritoccato facendolo regredire di un altrettanto modesto 0,1% rispetto agli altri paesi europei, si è parlato, altrettanto impropriamente, di una profonda e grave crisi.
La realtà è che ci comportiamo più o meno nella media europea, un po’ meglio dei tedeschi e assai peggio della Spagna. Tuttavia, quando il tasso di sviluppo è preceduto dal segno zero, anche se non si può parlare di recessione, non vi è certo da stare allegri.
Rimandando a future riflessioni le cause della crisi germanica, dobbiamo essere soprattutto interessati a capire le ragioni dello sviluppo della Spagna.
Un paese che ha un tasso di crescita di due punti superiore a quello italiano, anche se vi sono notevoli similitudini nella struttura produttiva dei due paesi e la Spagna si trova temporaneamente svantaggiata dalla forte presenza di una robusta industria automobilistica, in pesante crisi in tutta Europa.
La prima differenza è nella crescita del turismo, risorsa fondamentale per entrambi i paesi, ma che, in Spagna, supererà quest’anno l’incredibile record di 90 milioni di presenze, abbondantemente sopra i livelli pre-covid.
Più importante per la crescita attuale e futura è tuttavia il rapido utilizzo delle risorse europee fornite dal PNRR.
Lo stesso ministro spagnolo dell’Economia ha dichiarato che il 2,7% della crescita è stato ottenuto grazie alla rapidità dell’utilizzazione dei fondi europei e al loro impiego in progetti che aumentano la produttività del sistema in settori chiave come l’energia, la crescita delle Piccole e Medie Imprese e delle infrastrutture più avanzate, a cominciare dalle telecomunicazioni e dai progetti legati all’intelligenza artificiale.
La ricetta spagnola appare tutto sommato assai elementare: in conseguenza delle riforme che hanno semplificato il funzionamento delle strutture pubbliche e dei loro rapporti con le imprese, l’attenzione è stata rivolta ad un utilizzo rapido, concentrato e finalizzato dei fondi europei, in modo che il loro esaurirsi (anche se il governo spagnolo si augura che proseguano in futuro) trovi un paese più efficiente.
L’opposto sta avvenendo per l’Italia, dove la stessa documentazione inviata dal governo a Bruxelles certifica i pesanti ritardi nella nostra spesa.
Le conseguenze sono già evidenti: il costo del debito pubblico spagnolo si è già abbassato al livello di quello francese, sensibilmente inferiore al nostro.
Quanto la diminuzione del costo del debito sia particolarmente importante per l’Italia, lo dimostra il semplice fatto che quest’anno il peso degli interessi toccherà quasi i 90 miliardi di Euro, mentre era di 57 nel 2020.
La ricetta spagnola ci dimostra che il processo di diminuzione del peso del debito pubblico è quindi possibile anche in momenti difficili, purché si accompagni a una maggiore crescita. Altrimenti si è costretti a fare complicati esercizi solo per fare quadrare il bilancio in modo da renderlo compatibile con gli equilibri interni e gli impegni europei.
Se si riflette sulla fatica del ministro Giorgetti e sulle tensioni che hanno accompagnato il varo della manovra da 30 miliardi lordi e la si confronta con i 95/100 miliardi che usciranno l’anno prossimo dalle casse dello Stato per pagare gli interessi del nostro debito pubblico, si comprende quanto sia necessario mettere in atto le tanto auspicate riforme in modo da rendere più rapido il trasferimento delle risorse del PNRR all’economia reale, con la modernizzazione della Pubblica Amministrazione e la concentrazione degli interventi nei settori che più aiutano la produttività dell’intero sistema.
A differenza degli spagnoli abbiamo invece gestito i fondi europei senza semplificarne le procedure di applicazione ma, all’opposto, complicandole fino a rendere impossibile la loro messa in atto in tempi utili e ragionevoli.
Sono già troppi anni che il nostro paese vive solo di rimedi e, anche se questi sono necessari, non sono certo sufficienti a preparare un futuro migliore.