Cina e Trump: la sfida tecnologica
Pechino e Trump, la sfida tecnologica
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 23 novembre 2024
Anche se da parte cinese non era stata espressa alcuna preferenza riguardo all’esito delle elezioni americane, la vittoria di Trump ha reso più vicina la rivoluzione del commercio mondiale, in cui la Cina è il massimo protagonista e, nello stesso tempo, il maggiore problema per gli Stati Uniti.
Senza volere affliggere i lettori con una valanga di cifre, basti riflettere sul fatto che, nell’ultimo anno di cui si hanno consuntivi precisi, il deficit della bilancia commerciale americana nei confronti della Cina ha raggiunto l’incredibile somma di 283 miliardi di dollari.
Con l’obiettivo di rendere l’America potenza dominante anche sotto l’aspetto commerciale, Trump agita quindi ogni giorno la bandiera delle tariffe doganali. Per rendere ancora più esplicite le sue intenzioni, ha scelto una squadra di governo che si pone come scopo del tutto prioritario il contenimento dell’espansione economica, politica e militare della Cina.
Tutto questo era in fondo scontato, ma ancora non è chiara la risposta cinese.
Nella riunione del Congresso Nazionale del Popolo, convocato subito dopo le elezioni americane, ci aspettavamo infatti decisioni rivolte a riequilibrare questa situazione con l’adozione di misure dedicate a sostituire una consistente quota di esportazioni con l’aumento dei consumi interni.
Si prevedeva perciò l’inizio di una vigorosa politica keynesiana anche perché, nell’ultimo trimestre, la crescita cinese era scesa al 4,6%, mentre l’obiettivo del governo era fissato al 5%, un obiettivo necessario per raggiungere il programmato raddoppio del reddito pro-capite entro il 2035.
Le misure prese si sono invece limitate a una grande operazione di aiuto alle comunità locali fortemente indebitate, a un incentivo all’acquisto di abitazioni, a un aumento dell’età pensionabile e a un rafforzamento del capitale delle banche pubbliche.
Gli investimenti costituiscono quindi la scelta prioritaria, superando l’incredibile quota del 40% del PNL nazionale. Eppure già oggi la Cina possiede un’enorme capacità produttiva in eccesso, nonostante raggiunga il 30% di tutta la produzione industriale mondiale.
Si ha perciò l’impressione che Xi Jinping non voglia procedere a cambiamenti radicali, prima di vedere quali siano le concrete decisioni di Trump. Questa è però solo una parte di verità perché, nella realtà, il cambiamento radicale della politica cinese è già in atto.
Esso si concretizza in una strategia dedicata a moltiplicare il contenuto di scienza e di tecnologia di ogni prodotto, dalle automobili elettriche alle centrali nucleari, dai voli spaziali alle innumerevoli innovazioni che danno vita alle nuove fonti di energia.
Già oggi i settori tradizionali sono in crisi e le imprese innovative stanno diventando dominanti. Basti pensare che la Byd, leader nella produzione delle auto elettriche, ha recentemente assunto duecentomila nuovi dipendenti. La permanenza di un così elevato livello di investimenti sarebbe quindi giustificata dalla diversa natura degli investimenti stessi.
Alla forza che si fondava su una impressionante capacità produttiva, fondata soprattutto sulla concorrenza nei prezzi, si sta rapidamente sostituendo la sfida al primato americano nell’innovazione.
Di rinforzo a questa interpretazione è uscita una recente analisi su quali siano i paesi leader nelle tecnologie ritenute strategiche per il futuro del mondo. Anche se le conclusioni di questo rapporto, denominato Aspi’s Critical Technology Tracker, sono messe in discussione, tuttavia mettono in rilievo cambiamenti di direzione dei quali non è possibile non tenere conto.
Lo spostamento della leadership innovativa verso la Cina sarebbe infatti impressionante. Mentre vent’anni fa gli Stati Uniti avevano il primato in 60 delle 64 tecnologie più avanzate e potenzialmente determinanti per il nostro futuro, il rapporto si sarebbe oggi invertito, con la prevalenza cinese in 57 delle 64 nuove tecnologie.
La spiegazione di questo radicale cambiamento sarebbe dovuta alla strategia di lungo periodo adottata dalla Cina, così diversa dalla discontinuità dei paesi democratici, soprattutto nei settori più raffinati e ad alto rischio, che richiedono molti anni di ricerca continuativa.
Pur non accettando alla lettera queste conclusioni, esse ci offrono tuttavia un quadro chiaro della sfida che si sta profilando con le misure che Trump si è impegnato a mettere in atto, tentando di isolare la Cina prima che i suoi progressi tecnologici si trasformino in prodotti capaci di dominare nel mercato, come è stato il caso dei pannelli solari e come lo stesso esito si sta ripetendo per le automobili elettriche.
Fra i due giganti è cominciata quindi una sfida globale su chi sarà capace di essere più forte e più rapido nel primato tecnologico.
Per questo motivo Trump ha molta fretta e ha scelto collaboratori del tutto allineati nel perseguire questa strategia e nel condividere questa urgenza. Inutile, a questo punto, sottolineare che l’Europa, anche solo per l’importanza del suo mercato, dovrebbe essere una pedina determinante in questo grande gioco. Eppure, invece di preparare con la massima rapidità le misure necessarie per difendere i nostri vitali interessi, a Bruxelles non sono nemmeno in grado di stabilire chi, in futuro, dovrà prendere queste decisioni.