Solo unita l’Europa resisterà allo tsunami di Trump

Solo unita l’Europa resisterà allo tsunami

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 06 febbraio 2025

Anche se sono passate solo due settimane dal suo insediamento, la tempesta sollevata da Trump è già uno tsunami e si contano morti e feriti.

La posta in gioco è infatti così grande che siamo obbligati ad analizzare quanto sta avvenendo, anche se i margini di incertezza (a conferma dell’imprevedibilità di Trump) non sono certo minori di quelli che erano al momento dell’insediamento.

Partendo dalle cose che ci aspettavamo, non siamo sorpresi dal ripudio degli accordi internazionali, già in precedenza criticati o disprezzati, come è successo per l’accordo di Parigi sull’ambiente o per l’uscita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Quello che non ci si attendeva è la sospensione immediata (anche se temporanea) degli aiuti umanitari ai paesi più poveri, accompagnata dalla chiusura di un’agenzia (Usaid) creata dal presidente Kennedy nel 1961 proprio per costruire un nuovo partenariato fra Nord e Sud e per dimostrare che la democrazia poteva fiorire insieme alla crescita economica.

Una decisione che ha provocato angoscia e disperazione in tanti paesi. Gli Stati Uniti, data la grandezza della loro economia, sono infatti il maggiore donatore di aiuti al terzo mondo, anche se non tra i paesi di testa nel rapporto fra gli aiuti e il prodotto nazionale lordo.

Nello stesso tempo si tratta di una decisione imprevista proprio perché il risparmio in termini di budget è modesto, soprattutto se paragonato ai danni in termini politici.

Ne deriva una scelta di isolamento nei confronti del resto del mondo che, data la politica espansiva di Cina e Russia, si sarebbe dovuta evitare. Con questa misura gli Stati Uniti si sono creati nemici ovunque.

Era invece attesa, perché più volte annunciata, una politica severa nei confronti del Canada e del Messico, accusati di provocare un eccessivo deficit nella bilancia commerciale degli Stati Uniti e, nel caso del Messico, di non impedire il flusso degli emigranti e il traffico di droga. In questo caso a sorprendere è stata la modalità con cui si sono svolti gli avvenimenti, dato che è stato prima annunciato un dazio del 25%, con effetto immediato, su tutte le merci importate da entrambi i paesi ma poi, un’istante prima dell’applicazione della misura, è stato concesso un mese di proroga alla sua entrata in vigore.

Un rinvio solo temporaneo oppure la presa d’atto che la misura risulta controproducente per la stessa economia americana, dato che la grande maggioranza dei beni importati da Canada e Messico sono prodotti da imprese americane? Si trattava invece di una minaccia per ottenere (come poi è avvenuto) che il Messico si impegnasse a controllare il flusso degli emigranti e il traffico della droga? Ma se poi queste misure, come è evidente, mettono in crisi l’economia messicana, che cosa resta al Messico da esportare se non emigranti e droga?

La risposta a questi interrogativi arriverà certamente con le decisioni future. Nel frattempo, non solo le proteste dei governanti dei due paesi confinanti, ma anche l’irritazione popolare sono montate fino ad un corale insulto all’inno americano durante gli incontri sportivi fra le squadre canadesi e quelle degli Stati Uniti.

Anche in questa fase iniziale non potevano mancare le misure nei confronti della Cina, che sono state tuttavia relativamente minori rispetto alle precedenti dichiarazioni. Trump, per ora, si è accontentato di una barriera doganale aggiuntiva del 10%, a cui è stato risposto con dazi selettivi su un selezionato , ma assai limitato, campionario di prodotti americani. Naturalmente la tensione con la Cina, unico capitolo che unisce repubblicani e democratici, rimane per definizione elevata, ma temperata da una specie di rinvio, forse in attesa di nuovi eventi.

Riguardo all’Europa per ora arrivano solo minacce, anche se riguardano materie così delicate che non hanno precedenti nella storia.

Pensiamo alla minaccia di annessione della Groenlandia che ha provocato non solo un’incredula sorpresa da parte di tutti i paesi europei, ma la durissima reazione di un governo non certo antiamericano come quello danese.

A questo si aggiunge la minaccia di elevate barriere doganali, accompagnata da una concreta ed inedita interferenza nelle politiche nazionali, attraverso il sostegno delle estreme destre e l’insulto ai politici non allineati.

Si tratta di una semplice preparazione alla ben nota strategia di dividere i paesi europei trattando separatamente con ognuno di loro nella ferma convinzione che anche le risposte saranno tra di loro divergenti. Sono infatti oggettivamente diversi i loro interessi, le loro strutture produttive e la loro politica estera, a partire dai rapporti con la Cina.

L’unica nostra àncora di salvezza, data la poderosa dimensione economica europea, sarebbe una politica comune. A meno che non arrivi un sussulto di orgoglio e di saggezza, le differenze sopraindicate, sommate alla regola dell’unanimità, non possono che produrre una politica di sostanziale sottomissione. Resta da capire quale sarà il risultato di una politica americana che trasforma la già drammatica sfida fra Occidente e il Resto del Mondo (West contro Rest) in una sfida fra gli Stati Uniti e il Resto del Mondo.

Naturalmente le cose sono ancora in così grande evoluzione che mi sembra di scrivere queste note fra il primo e il secondo tempo di una partita di calcio in cui le squadre si scontrano duramente, ma sono ancora zero a zero. Si delineano le strategie degli allenatori, le tattiche sul campo e il peso dei singoli giocatori, ma non si conoscono ancora le possibili sostituzioni e, soprattutto, non si conosce ancora il risultato finale. Ne dovremo scrivere tanto in futuro.

 

 

Print Friendly, PDF & Email
Be Sociable, Share!

Dati dell'intervento

Data
Categoria
febbraio 6, 2025
Strillo