L’Ulivo dopo 30 anni dice che vincere si può

Prodi “Alzando i toni la premier si brucia
L’Ulivo dopo 30 anni dice che vincere si può”
Il professore celebra la sua creatura politica “Ero convinto che servisse superare un muro. L’idea coincideva con la spinta del Paese. Berlusconi si è distratto”

Intervista di Annalisa Cuzzocrea a Romano Prodi su La Repubblica del 1 febbraio 2025

Romano Prodi ha una casa che ricorda un alveare color miele. Una cucina che sa di antico, un salotto pieno di ricordi: le foto della moglie Flavia, soprattutto. “Dicevano: ma come mai quella bella ragazza ha sposato un brutto così? Ti credo, l’ho corteggiata per tre anni!”. Davvero tre? “Diciamo due e mezzo”. Il Professore prende il caffè amaro con una nuvola di latte, tiene un maglione di lana praticamente sempre, quale che sia la stagione. Fuma mezzo sigaro a settimana: “Quando sono molto molto allegro, o molto molto triste”. Trent’anni fa, il 2 febbraio 1995, lanciò l’Ulivo con un’intervista alla Gazzetta di Reggio. Ha sempre pensato che la politica abbia bisogno di radici. E ha sempre sentito le sue, anche quando era all’estero, ben piantate in questo Paese. Ma non smette di essere curioso del mondo: tra poche settimane sarà di nuovo in Cina. All’Università di Pechino, accanto al suo ufficio al quarto piano, un’aula studio è stata dedicata a Flavia Franzoni. Mostra fiero la foto sul telefonino. “Sono terrorizzato da un mondo diviso in blocchi contrapposti che ragiona solo in termini di scontro. Se posso fare qualcosa per tenere aperto il dialogo, io lo faccio”.

Professore, l’Istat ha rivisto le stime di crescita dell’Italia dimezzandole, col pil 2024 allo 0,5 per cento. L’economia non va bene come dice il governo?

“Crescono il turismo e qualche altro servizio, ma il nucleo profondo, cioè l’industria, è per il secondo anno di fila col segno meno. Non ci può essere crescita del Paese se non temporanea, se non si riprende la crescita industriale. Inoltre, lo spaventoso aumento del 30% nel 2024 della cassa integrazione chiarisce come realmente stanno le cose”.

E’ una crisi che riguarda tutta l’industria?

“Si sta estendendo a tutti i settori. Ma nonostante questo, c’è una drammatica mancanza di manodopera di ogni tipo”.

Che si potrebbe risolvere con un’immigrazione gestita meglio?

“L’immigrazione incontrollata è impossibile, quella gestita lo sarebbe, ma non si vuole fare. Il no per definizione politicamente rende moltissimo, non solo in Italia. Il mondo è dominato dalla paura“.

E se fossero le paure sbagliate?

“Non è tanto che siano sbagliate, quanto che si utilizzino senza cercare i rimedi. Un discorso pacato sull’immigrazione, sulle regole comuni, converrebbe economicamente, ma non conviene politicamente. In futuro, nello spazio di due legislature, saremo obbligati a trovare soluzioni razionali”.

Tutto questo in Germania ha portato a vedere Cdu e liberali votare insieme ai neonazisti dell’Afd.

“Merz dice di rimanere fermo nella scelta di escludere l’Afd da un futuro governo, ma negli ultimi giorni ha aperto alla destra facendo infuriare non solo socialisti e verdi, ma anche la Merkel e altri membri del suo partito. Penso che tenga l’Afd come ruota di scorta”.

I neonazisti non sono preoccupanti anche come ruota di scorta?

“Sì, ma la loro pericolosità dipenderà dall’andamento delle elezioni e soprattutto dalla volontà dei partiti di trovare un accordo“.

Musk ha esortato i tedeschi a smettere di vergognarsi della loro storia.

“Chiede di dimenticare, mentre abbiamo l’obbligo di rinnovare la memoria, e non è grave solo il contenuto delle sue parole: pochi anni fa non avremmo mai tollerato un’ingerenza così diretta nella politica interna di un Paese. In poche settimane siamo passati dalla rivoluzione francese a Napoleone, dal primato del diritto a quello della forza”.

Quanti danni può fare all’Europa?

“All’Europa di oggi tanti, a un’Europa unita nessuno. Prendiamo i satelliti di Musk. Un’Europa unita potrebbe porgli tutte le condizioni di sicurezza, di garanzia, di trasparenza. Un singolo Paese non ha nessuna possibilità di farlo”.

Giorgia Meloni ha scelto il trumpismo?

“Non c’è dubbio. Cosa c’è meglio del trumpismo per legittimare la sua storia? E’ la stessa ragione per cui Musk legittima l’Afd, c’è un grande movimento di legittimazione delle estreme destre: un grave colpo a una democrazia già in crisi”.

E le ragioni della crisi quali sono?

“Il cambiamento avvenuto in tutto il mondo per cui democrazia significa che se vinci le elezioni puoi fare quel che vuoi. Il voto legittima il comportamento autoritario, quindi lo strumento principe della democrazia viene usato per uccidere la democrazia.”.

Se lo aspettava in Europa, con l’Ungheria, e negli Stati Uniti?

“In Europa è ancora periferico: finché dura l’Unione quella ungherese è una variazione che può andare e tornare. E’ la stupidità del voto all’unanimità che dà a questo autoritarismo una forza incondizionata, rendendolo un cavallo di Troia per la democrazia europea”.

E negli Stati Uniti?

“Assolutamente no. Gli Stati Uniti sono nati con l’idea dei pesi e contrappesi. Tutto era disciplinato in modo rigoroso. Improvvisamente abbiamo 50 decreti tutti in una volta. E’ il frutto della divisione della società americana. Tempo fa erano un Paese con una divisione tra bianchi e neri e una differenza oggettiva tra ricchi e poveri temperata dalla certezza dell’ascensore sociale. Ora si sono aggiunte nuove fratture: tra immigrati e nativi, tra città e campagna, tra colti e incolti. E quella tra ricchi e poveri si è trasformata in odio”.

Perché Meloni la attacca?

“Forse si tratta di un amore non corrisposto, un problema freudiano? Scherzi a parte, può essere che le ricordi che la sinistra sa anche vincere. A pensarci bene, sono stato l’unico”.

Pensa possa ritenerla un candidato scomodo per il Quirinale?

“E’ folle avercela con me che ho 86 anni e con tutta evidenza sono fuori da qualsiasi gioco politico, ma non perché mi tenga fuori Meloni. Anche gli amici del Pd mi tengono fuori. Lo fanno tutti e io per primo”.

Secondo lei la premier è convinta del complotto di cui parla, che vede lei alla guida di una serie di personalità desiderose di abbattere il governo con la complicità della magistratura?

“Non le nascondo la mia sorpresa quando ho visto la prima sortita della premier ad Atreju, e la mia incredulità quando ha inventato che fossi dietro alla denuncia di una persona che, come lui stesso ha detto, non mi ha mai incontrato”.

L’avvocato Li Gotti, che ha denunciato il governo per il caso Almasri, ha una storia a destra ma faceva parte del suo governo come sottosegretario in quota Italia dei Valori.

“Io con più prudenza avevo detto: non ricordo, ma ora che lo ha confermato anche lui posso essere certo di non averlo mai visto”.

Quindi non c’è lei dietro al “complotto”?

“Al massimo potrebbe accusami di convincere. E’ improbabile che Meloni creda a quel che dice, ma certo pensa che le convenga. E qui fa un grande errore, perché tenere i toni così alti a lungo è impossibile. Funziona in campagna elettorale, e ancora per un po’ se sei abile, e lei lo è, ma poi consuma”.

E’ preoccupato dello scontro con la magistratura?

“Certo che sono preoccupato. Del fatto che il Parlamento sia sempre più periferico e la magistratura sempre più attaccata”.

Cosa la spinse, trent’anni fa, a dar vita all’Ulivo?

“La mia vita pubblica è stata tutta un caso. Il ministero dell’Industria con Andreotti arrivò perché non sapevano chi chiamare, lui chiese a Pandolfi se conosceva qualcuno e siccome mi avevano appena sentito parlare a un convegno dissero: quello è bravo, chiamiamolo. (se vuoi questo puoi togliere) All’Iri c’era un disastro tale che non sapevano chi metterci. L’Ulivo invece l’ho proprio voluto con una convinzione semplicissima: caduto il muro di Berlino, ho sempre pensato che l’Italia fosse l’unica nazione ad avere un “muro” che la divideva al suo interno. Su tanti problemi della vita quotidiana c’era più accordo con i socialisti e con i comunisti che con i conservatori. Bisognava fare in modo che tutti i riformisti stessero da una parte e tutti i conservatori dall’altra, e che si alternassero al potere. C’era un disegno chiaro, elementare”.

Ma fino ad allora c’erano stati i partiti forti e un’ottica molto diversa.

“I partiti non li ha uccisi l’Ulivo, erano già morti. Ci siamo detti: mettiamo insieme quelli che possono dar vita ad un governo di riforme con un programma condiviso. “.

E il segreto di quella vittoria quale fu?

“Questo movimento ha avuto fin dall’inizio un vigore inaspettato. Nacquero 4mila comitati in pochi giorni, c’era un desiderio diffuso di far uscire il Paese dall’impasse. L’idea intellettuale coincideva con una spinta che arrivava dal Paese. Sono stato fortunato anche perché Berlusconi si è distratto”.

In che senso?

“Aveva risorse mille volte maggiori delle mie e ha commesso l’errore del troppo potente che snobba il poveretto. Anni dopo persone vicine a lui mi raccontarono che quando giravo in pullman diceva: lasciatelo andare, povero pellegrino”.

Schlein direbbe che non l’ha vista arrivare. Oggi si potrebbe rifare?

“L’Ulivo certamente no. Quel che si può fare è cercare quattro grandi problemi sui quali trovare una visione comune: sanità, casa, scuola, lavoro”.

Il problema è trovare la visione comune tra Pd, 5 stelle, Alleanza Verdi Sinistra, Più Europa, Azione, Italia Viva.

“Sono i problemi del riformismo, ma solo se si parte dai contenuti e non dalla leadership può nascere un’azione comune che sollevi entusiasmo”.

La proposta di Dario Franceschini di marciare divisi al proporzionale per colpire uniti nei collegi non la convince?

“Ma come si può fare questo discorso due anni e mezzo prima delle elezioni? Significa rinunciare ad avere un’idea del riformismo necessario, di cosa bisogna fare. Se scriviamo oggi che dobbiamo andare al voto senza un’idea, anzi che dobbiamo proprio evitare di avere un’idea in comune, si possono anche vincere le elezioni, ma si uccide il Paese. Vedo però un lato positivo”.

Quale?

“Si è ricominciato a parlare di politica. In un Paese civile, chi vuole andare al governo dice cosa vuole fare e con chi. Questa è politica, dire quel che serve all’Italia per la distribuzione del reddito, per la sanità, per la casa. Non dire solo che mancano le risorse, ma dire come vanno riformati gli ospedali, i medici di base, le case di comunità. L’ultimo piano per l’edilizia popolare risale al governo Fanfani! Poi ci si riuscirà oppure no, ma se non si parte da questo è solo cinismo”.

E se i 5 stelle si rifiutano o mettono veti, come già accaduto, che si fa?

“La proposta di Franceschini potrebbe essere l’ultima spiaggia alla vigilia del voto. Ma se partiamo dall’idea che non ci si può mettere d’accordo su un programma, mi pare difficile vincere le elezioni. Se vogliamo che gli astenuti vadano a votare bisogna discutere di cose che emozionino. Io ero Ministro quando nel 1978, alla vigilia di Natale, si votò la riforma del Sistema sanitario nazionale. E sa cosa? C’era emozione”.

Lei non sarà dietro il complotto ai danni del governo, ma è dietro i centristi che si muovono per far nascere qualcosa di nuovo dentro o accanto al Pd?

“Ho avuto il piacere di aver partecipato a un dibattito che non ho organizzato, ma non ho avuto nessun riscontro dopo quello che ho detto. Mi pare difficile che io possa manovrare qualcosa. Però posso parlare”.

Crede che il Pd a guida Schlein sia troppo a sinistra per tenere dentro i moderati?

“Il Pd di Schlein ha fatto ottimi progressi, ma non esiste in Europa nessun partito, neanche la grande Cdu-Csu, che possa farcela da solo. È la nuova democrazia che esige la coalizione. A questo punto accanto al Pd, che per le sue dimensioni ha la responsabilità maggiore, è bene che ci siano forze convergenti. Non devo essere certo io a organizzarle, ma è utile che si cominci a discuterne”.

Tra due anni e mezzo immagina un centrosinistra che va al voto guidato da Schlein o da un federatore?

“Il problema è vedere chi è in grado di federare. Quel ruolo si conquista, non è dato. La competizione è aperta per tutti, Schlein e altri. Io ho visto con favore l’inizio della discussione, ma non decido io come va avanti. Meloni può star tranquilla”.

In assoluto, la premier può stare tranquilla?

“Non credo. E’ ancora popolare, ma il governo perde punti nei sondaggi. Stiamo arrivando al momento in cui nuove proposte possono essere accolte perché aumenta lo scontento su come vanno le cose. È finito il periodo in cui si può dare la colpa a chi è venuto prima, e questo è un cambiamento politico enorme che apre ogni orizzonte”.

 

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