Troppe contraddizioni sulle rivolte arabe, così l’Italia perderà peso in Nordafrica
Romano Prodi a Washinton per presiedere la seconda conferenza internazionale “53 Countries One Union”
“Troppe contraddizioni sulle rivolte arabe così l’Italia perderà peso in Nordafrica” Aumenterà l’influenza di quei paesi che hanno strategie più chiare: Francia, Inghilterra Cina e Turchia
Intervista di Federico Rampini a Romano Prodi su La Repubblica del 16 giugno 2011
L’intervista – Dal nostro inviato federico Rampini, Washington –
«E’ ondivaga la politica dell’Italia verso il Nordafrica. Le oscillazioni italiane, i continui cambiamenti, non ci giovano in nessuno scenario, qualunque sia l’esito finale in Libia e altrove». Romano Prodi è a Washington per presiedere la seconda conferenza internazionale “Africa: 53 Countries One Union” e da qui lancia l’allarme per la perdita d’influenza del nostro paese in un’area strategica.
Quale prezzo pagherà l’Italia?
«In Libia e in tutto il Nordafrica aumenterà l’influenza di quei paesi che hanno strategie più chiare: la Francia, l’Inghilterra tra gli europei, la Cina sicuramente, anche la Turchia per il suo peso economico crescente. Il problema non si limita alla Libia. Sono in preda a sconvolgimenti tutti i paesi nei quali storicamente l’Italia si trova al primo o secondo posto come partner economico: Egitto, Tunisia, Siria, Iran. L’ondeggiare non ci aiuta, l’Italia va verso una perdita secca su questo fronte strategico.
Manca la capacità di inventare una nuova politica. Il governo italiano dovrebbe farsi promotore di una nuova visione europea, perché solo un approccio multilaterale ci può salvare».
Lei qui a Washington oggi incontra i dirigenti americani e cinesi, oltre ai rappresentanti dell’Unione europea e dell’Africa. Di tutte le rivoluzioni democratiche incompiute quale la preoccupa di più?
«L’Egitto, per l’importanza unica di questo paese. Le cose non stanno andando bene al Cairo, le difficoltà economiche sono enormi, l’industria turistica ha visto crollare le entrate in valuta, aumenta la delinquenza, un milione e mezzo di emigrati egiziani in Libia sono tornati e s’inaridiscono le rimesse.
I capitali sono fuggiti, gli imprenditori sono in carcere o progettano di scappare all’estero».
Lei propone “una grande prova di amicizia” verso quei paesi. Al G8 di Deauville Barack Obama ha già annunciato la cancellazione del debito egiziano e tunisino.
«E’ importante, ma bisogna vigilare al rispetto degli impegni, i G8 non hanno una gran tradizione nel mantenere le promesse».
Lei chiede di trasferire risorse e competenze all’Unione africana, ma paesi come la Francia e l’Inghilterra si oppongono.
«E’ comprensibile, in certi paesi africani le ex potenze coloniali ancora svolgono un ruolo immenso, gestiscono molti servizi essenziali. Ma bisogna uscirne, non è credibile una gestione degli interventi affidata ai vecchi colonizzatori».
Potrebbe uscire da questa conferenza una mediazione per sbloccare l’impasse libica?
«La parola mediazione è impropria. La Nato non la vuole, evidentemente pensa che la vittoria è vicina. Ma la fine di Gheddafi avrà implicazioni profonde in tutta l’Africa, basti pensare che l’Unione africana otteneva il 30% dei suoi fondi dalla Libia».