Il voto delle donne deciderà la vittoria di Obama contro Romney?
Per la rielezione
Che cosa l’America vuole da Obama
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 15 aprile 2012
Mancano più di duecento giorni alle elezioni americane ma, con il ritiro dalle primarie di Rick Santorum, la campagna elettorale è già cominciata. La lotta è ormai tra due soli protagonisti: il presidente uscente Barack Obama e il suo sfidante repubblicano Mitt Romney.
Con il ritiro di Santorum il centro della campagna si sposterà dalla sfida esasperata sui temi etici per ritornare nei binari tradizionali delle passate campagne e cioè l’economia e, seppure con importanza minore, la politica estera.
La sfida parte con Obama in vantaggio ( a seconda dei sondaggi) fra i 5 e 10 punti percentuali ma nessuno, qui negli Stati Uniti, pensa che la sua sfida sia una passeggiata.
Romney, pur non essendo uno specialista di campagne elettorali, sta infatti raccogliendo una impressionante quantità di risorse anche da parte di finanziatori che in passato avevano sostenuto Obama, mentre il Presidente deve difendere i non sempre lusinghieri risultati di quattro anni pieni di difficoltà.
In primo luogo Obama dovrà difendersi contro il diffuso sentimento di un progressivo calo del potere degli Stati Uniti nella politica e nell’economia mondiale. Un sentimento pienamente giustificato ma di cui Obama non porta certo la responsabilità, dato che il processo è conseguenza di mutamenti storici inarrestabili, che sono stati di molto accelerati dagli errori del suo predecessore, a cominciare dalla guerra in Iraq.
In questo anni Obama ha dovuto correggere una strategia che era divenuta insostenibile anche tenendo conto delle enormi risorse economiche e militari degli Stati Uniti. Tuttavia non si risveglia l’entusiasmo di un popolo solo tamponando gli errori commessi in precedenza. Per infiammare gli elettori occorrono scelte chiare e comprensibili, scelte che non sono apparse tali in diversi scacchieri della politica estera americana, a cominciare dal Medio Oriente.
Troppo spesso vi sono state correzioni e incertezze e troppo spesso le decisioni non hanno fatto seguito alle dichiarazioni, anche se non era facile riorganizzare in poco tempo una politica che aveva perso la propria direzione. Bisogna in ogni caso tenere presente che è estremamente difficile ottenere il plauso popolare quando si è costretti dalla realtà delle cose a ridimensionare i propri obbiettivi.
La vera sfida si giocherà quindi soprattutto sull’economia, cioè sulla crescita, sull’occupazione e sulle imposte.
Il presidente ha sotto quest’aspetto discrete carte in mano, in quanto gli ultimi dati tendono a mostrare un paese che, seppure con alti e bassi e con tanta lentezza, sta uscendo dal momento più cupo della crisi. Questo resterà però il punto più delicato della campagna perché possono bastare alcuni dati negativi in borsa o sul numero dei disoccupati per rovesciare completamente gli orientamenti degli elettori.
Ci sono inoltre alcune decisioni molto importanti rispetto alle quali non sarà facile per tutti e due i candidati interpretare la volontà popolare. I repubblicani chiedono il taglio delle spese della sicurezza sociale ma lo fanno con una certa esitazione perché, a partire dalla Florida ( stato tradizionalmente repubblicano) ci sono troppe persone anziane che dipendono da queste risorse. I democratici, a loro volta, propongono di ridurre le spese militari ma sono sempre più prudenti per non danneggiare l’occupazione nelle imprese legate agli armamenti.
Il primo chiaro conflitto tra i candidati è tuttavia già cominciato nello scontro sull’aumento delle imposte alla parte più ricca della popolazione. Si tratta della così detta proposta di Buffet, dal nome del miliardario che ha denunciato l’assurdità del sistema fiscale, per cui egli si trova a pagare un’imposta percentualmente inferiore a quella della sua segretaria. Obama ha preso al volo quest’occasione per schierasi, secondo il motto degli occupanti di Wall Street, a favore del 99% dei cittadini americani contro l’% degli straricchi. Non è ovviamente tardata la controreplica repubblicana che ha sollevato nell’opinione pubblica il timore che, in caso di vittoria, Obama aumenterebbe le tasse nei confronti di tutti. Come è ben noto, essere capaci di sollevare questa paura in campagna elettorale, è come disporre dell’arma nucleare.
L’evoluzione di questa delicata battaglia sulla necessità di correggere le crescenti ineguaglianze la vedremo già nel dibattito politico della prossima settimana.
Su uno straordinario punto di forza può tuttavia contare, almeno per ora, il presidente Obama, cioè sul voto femminile. Non so se per il suo fascino personale o perché, appena eletto, ha ottenuto che la remunerazione del lavoro delle donne, molto inferiore a quella degli uomini, venisse gradualmente livellata verso l’alto. In ogni caso su questo capitolo per ora non c’è storia.
Anche se gli avversari lo descrivono come deperito e invecchiato, gli ultimi sondaggi di opinione dicono che Obama gode del 57% del voto femminile, mentre a Romney ne resta soltanto il 38%. Questo mi sembra essere il patrimonio più prezioso su cui il presidente Obama può contare all’inizio di una lunga e difficile campagna elettorale.