Adesso Bersani ha gli strumenti per rinnovare la classe dirigente
L’intervista al padre del PD
Prodi: «Ora il partito deve aprirsi Via al ricambio generazionale»
L’ex premier: «Bello il discorso della sconfitta di Renzi, ha un futuro. Ho contribuito alla riuscita delle primarie»
Intervista di Francesco Alberti a Romano Prodi su Il Corriere della Sera del 4 dicembre 2012
«Mi è piaciuto il modo in cui Matteo Renzi ha riconosciuto la sconfitta: la politica è fatta anche di questi momenti e bisogna saperli gestire».
Presidente Romano Prodi, di questo passo qualcuno potrà pensare che lei ha votato per il sindaco di Firenze…
«Non penso che nessuno sia autorizzato a pensare alcunché, dato che la mia scelta è e resta riservata. Ho ritenuto fosse mio dovere contribuire alla riuscita di queste primarie, di cui modestamente credo di essere uno dei principali sostenitori. L’ho fatto, andando a votare e dicendolo pubblicamente, ma mantenendo sempre un profilo da esterno. Credo che la politica sia una cosa seria, non da dilettanti o da irresponsabili. E che il mio ruolo passato, unito a quello attuale, imponga una certa sobrietà in questo senso».
Ammetterà che Renzi non se l’è giocata male…
«Ha fatto la sua partita nel modo e con gli argomenti che riteneva giusti. Il risultato dice che una parte significativa dell’elettorato l’ha ascoltato e ha capito le sue argomentazioni, anche se ho l’impressione che le polemiche dell’ultima settimana non siano state apprezzate dalla maggioranza degli elettori del centrosinistra».
Il quasi 40 per cento ottenuto dal sindaco rischia di diventare un problema per il Partito democratico?
«E perché mai? Quando dall’elettorato arriva una legittimazione diretta, com’è avvenuto in questo caso, non è mai un problema. Considerando l’età e l’impostazione che ha dato alla sua campagna, Renzi ha un futuro davanti a sé. Ha creato una squadra nel territorio, un serbatoio di energie che, se bene utilizzato, non potrà che dare vitalità al partito».
Ha vinto Bersani, il suo pupillo ai tempi del governo del 2006…
«Pier Luigi si è mosso molto bene e si è meritatamente ritagliato una posizione di grande forza. È stato capace di interpretare i tormenti e i nodi che assillano il Paese, dando alle primarie un profilo ricco di contenuti». Ma adesso, proprio in virtù di una vittoria così ampia, molti si aspettano da Bersani un rinnovamento ampio, a cominciare dalla classe dirigente: ne sarà capace? «Ora ha gli strumenti per farlo. Ha in mano il partito dopo una battaglia personale molto coraggiosa. Non dimentichiamo che non erano pochi nel Pd quelli che non volevano le primarie. E sono loro, a questo punto, i veri sconfitti».
Riuscirà Bersani ad essere, almeno un po’, rottamatore?
«Preferisco il termine riformatore. Il ricambio generazionale è necessario. Ma deve partire dal basso. Non è il segretario che deve circondarsi di chissà quale schiera di eletti, ma vanno create le condizioni perché possa emergere una nuova classe dirigente».
E quali sono gli strumenti necessari?
«Penso alle primarie di collegio, a una riforma elettorale che restituisca voce ai cittadini, a un Pd inclusivo e aperto ai fermenti dal basso. È triste pensare che ci sono parlamentari di cui nessuno ha mai visto la faccia sul territorio».
Quanto le sente sue queste primarie?
«Ne sono orgoglioso soprattutto per il Pd, che ha dimostrato di sapere anticipare una voglia di cambiamento sempre più incalzante. Nel momento in cui i partiti hanno perso la capacità di fare selezione interna, tenendo agganciati settori della società civile, le primarie rappresentano un’importante evoluzione della democrazia. In questo senso, lasciando da parte gli Stati Uniti, che hanno una storia loro, l’Italia è all’avanguardia. La Francia ci sta seguendo e penso che anche la Germania, dove ancora la struttura-partito ha una sua efficacia, imboccherà presto questa strada».
Le primarie alle quali partecipò lei nel 2005 superarono i 4 milioni di votanti: qualcuno, rispetto alle attuali, le ha però definite «celebrative»: è d’accordo?
«La consultazione di allora non presentava un panorama concorrenziale, ma proprio per questo il dato dell’affluenza è stato ancora più spettacolare: fu la conferma che incrociavamo una fortissima esigenza che veniva dal basso. Ed è importante che quella lezione sia stata compresa negli anni successivi dal Pd».
C’è chi dice che la vittoria di Bersani farà rispuntare in Berlusconi la voglia di riprovarci: lei crede?
«Berlusconi non si è mai ritirato. Si è messo in un angolo e aspetta di vedere cosa più gli conviene fare. Non se n’è andato».