In Siria mobilitare l’ONU per forzare una soluzione della guerra, aiutare i rifugiati ed i Paesi che li accolgono
Siria, la road map per evitare quegli errori fatti in Libia
Articolo di Romano Prodi su Il Mesaggero del 28 agosto 2013
Dopo l’Iraq e la Libia avremo un’altra guerra in Medio Oriente ?
Fino a pochi giorni fa l’ipotesi sembrava improbabile anche se oggi la documentazione degli orrori di quanto avviene in Siria colpisce sempre di più l’opinione pubblica. Una documentazione che tuttavia, per essere oggettivi, non è stata fino ad ora sufficiente per spingere i governi a mettere in atto gli interventi umanitari che sarebbero stati doverosi nelle drammatiche circostanze che si erano venute a creare, con centinaia di migliaia di profughi ridotti in situazioni sanitarie e alimentari sempre peggiori.
Il quasi sicuro, anche se non definitivamente accertato, uso di armi chimiche da parte di Assad, sta ora esercitando una pressione quasi incontenibile nei confronti del Presidente Obama, che pure aveva elaborato ed espresso una strategia di azione nella quale i problemi di politica interna erano del tutto prevalenti e, soprattutto, nella quale la politica estera era prevalentemente indirizzata verso la Cina e il Pacifico, anche perché la quasi sufficienza energetica degli Stati Uniti faceva sperare di potere mettere in secondo piano una presenza massiccia e pervasiva in tutto il Medio Oriente.
Oggi Obama si trova in una situazione interna difficile: nonostante molti americani siano contro la guerra, il Presidente è sotto tiro non solo da parte dei repubblicani ma della maggior parte dei media, che richiamano l’imperativo morale di un intervento, anche se egli stesso vive con l’incubo che si ripeta quanto è avvenuto in Iraq e in Libia, dove la fine della guerra ha semplicemente segnato l’inizio di nuove tragedie e di un’accresciuta instabilità.
È quindi possibile, e forse probabile, che il combinato disposto fra il richiamo etico e le necessità politiche spingano il governo americano a costruire un’alleanza per un intervento militare in Siria.
Si tratterebbe probabilmente di un intervento limitato ad incursioni aeree volte a distruggere i centri vitali delle forze governative e a fornire armi moderne ed efficaci ai militanti anti Assad anche se, in questi casi, non si sa mai dove le armi vadano a finire.
Oggi nessuno ha la volontà (e forse nemmeno la possibilità ) di impiegare truppe di terra in una guerra che è sostanzialmente una guerra civile. Non corrisponde infatti alla realtà delle cose la descrizione del conflitto siriano come lotta di una maggioranza libertaria e democratica contro una piccola minoranza da decenni al comando del paese. Accanto agli Alawiti (cui appartiene Assad) si schierano infatti i Cristiani, i Curdi, i Drusi che, con altre minoranze, arrivano fra un terzo e quasi metà della popolazione.
D’altra parte, nelle truppe ribelli, la presenza di milizie legate al terrorismo e vicine ad Al Quaeda è cresciuta nel tempo e oggi sembra esercitare un ruolo decisivo nel contenimento dell’offensiva lanciata nelle ultime settimane dalle forze governative.
È necessario inoltre ricordare, come la storia insegna, che l’entrare in modo attivo in una guerra civile, comporta come naturale conseguenza, l’essere corresponsabile di qualsiasi orrore venga compiuto da coloro verso i quali si è corso in aiuto. Trattandosi di un conflitto fortemente penetrato da forze terroristiche, diviene infine doveroso prevedere anche l’ipotesi di dure reazioni nei confronti di chi si schiera.
Non è certo facile punire e bloccare Assad senza intervenire nella guerra civile ma resta un punto fermo che l’unica possibilità di farlo senza ripetere le tragedie del passato è quello di mobilitare le risorse politiche, diplomatiche e militari dell’ONU per forzare una soluzione del conflitto, aiutando nel frattempo i rifugiati e i paesi vicini che li accolgono con una dovizia di mezzi che non si sono fino ad ora voluti impiegare..
Non è un compito semplice ma è chiaro che umiliare l’ONU come si è fatto in Libia non porta ad alcun risultato. Ben più positivo per aiutare la pace è stato invece l’intervento guidato dall’Italia in Libano nel 2006. Positivo non solo per il nostro determinato impegno in favore della pace, ma perché compiuto sotto l’autorità dell’ONU e con l’attivo impegno anche di Cina e Russia.
Questa è la linea saggiamente portata avanti da Germania e Italia in questi giorni. Credo che su questa linea di richiamo all’ONU i due paesi debbano insistere, coinvolgendo tutti i paesi del Medio Oriente per raggiungere un accordo che deve anche comprendere il destino della persona di Assad.