Non ci sarà ripresa senza un Governo stabile, ma attendiamo decisioni coraggiose e urgenti
Dalla trappola usciremo solo riducendo la burocrazia
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 15 settembre 2013
Le cose cambiano in fretta: abbiamo passato il mese di agosto scrutando i segni di una possibile ripresa ma le discussioni di settembre si sono interamente spostate sui difficili equilibri del bilancio pubblico.
Usciti con un grande respiro di sollievo dalla procedura di deficit eccessivo siamo di nuovo bombardati dagli ammonimenti delle autorità europee per il concreto rischio di ritornare fuori rotta, mentre i tassi di interesse dei nostri titoli pubblici superano di nuovo quelli spagnoli.
Cerchiamo perciò di chiarire come stanno le cose.
Un minimo di ripresa c’è o, per essere più prudenti, la discesa sembra essere finita.
Nell’anno in corso la caduta del nostro PIL sarà un po’ meno del 2% previsto. Qualche settore (come meccanica, farmaceutica e chimica) si muove verso l’alto e un piccolo lumicino si apre sulla disponibilità di credito da parte delle banche, mentre altri settori (a partire dall’edilizia e grandi lavori) non sembrano dare segni di ripresa.
È il tipico quadro in cui occorrerebbe dare una spinta all’economia ma, proprio a questo punto, è apparso di nuovo il fantasma del deficit.
L’abolizione dell’IMU, la compressione degli introiti fiscali dovuti al cattivo andamento dell’ economia, il costo della cassa integrazione speciale e l’aumento del maledetto spread ci hanno riportato di nuovo in zona rischio. Da Bruxelles sono perciò ricominciati gli inviti a spendere meno e mettere in atto le riforme per camminare stabilmente al di sotto del fatidico 3%.
Inviti che indicano anche la strada da percorrere, e cioè l’alleggerimento fiscale nei confronti del lavoro e dei consumi, per spostarne il peso verso gli aspetti patrimoniali.
Proprio in direzione opposta a quella a cui è stata costretta la coalizione di governo nel caso dell’IMU.
Dato che dobbiamo rimanere nei limiti del deficit eccessivo ora non abbiamo più i soldi per diminuire le imposte sul lavoro (il c.d. cuneo fiscale) e dobbiamo perfino stringere i denti per evitare l’aumento dell’IVA.
In poche parole ci mancano le risorse per incoraggiare la ripresa proprio nel momento in cui una spinta sarebbe necessaria ed efficace.
È questo groviglio di contraddizioni che ha portato il nostro spread al di sopra di quello spagnolo. Eppure, senza peccare di nazionalismo, l’economia della Spagna resta molto più debole di quella italiana e, nonostante alcuni recenti progressi, la presenza spagnola nei mercati internazionali rimane molto inferiore alla nostra.
A dispetto del nostro primato mondiale in alcuni importanti comparti della meccanica strumentale, della moda, dell’agroalimentare e di altri campi significativi, veniamo classificati in coda rispetto ai nostri concorrenti europei (e ormai anche rispetto ai paesi in via di sviluppo) in tutte le classifiche internazionali. Pur non avendo mai creduto alla veridicità di queste classifiche, debbo tuttavia ammettere che il loro contenuto danneggia molto la nostra capacità di ripresa, isolandoci dal flusso delle innovazioni e degli investimenti esteri.
Come uscire dalla trappola della difficile crescita e della mancanza di risorse per irrobustirla?
Nelle attuali circostanze non resta che la via delle riforme che non costano. Non è difficile individuarle perché tutti le hanno già indicate da anni e sono la riforma dello Stato e quella del mercato del lavoro, fatta esclusione di alcuni comparti del settore pubblico, ha raggiunto livelli di flessibilità estremamente elevati e comunque non inferiori a quello tedesco e francese. Esso necessita di riforme di lungo periodo per migliorarne l’utilizzo delle risorse umane, come avviene soprattutto in Germania nel settore della formazione, ma il costo dell’ora lavorata (oneri sociali inclusi) è oggi inferiore a quello dei nostri principali concorrenti, eccetto la Spagna.
Nell’urgenza di oggi la misura più efficace sarebbe una riduzione degli oneri sociali dedicata all’aumento dei consumi dei lavoratori dipendenti, di cui avremmo tanto bisogno per rafforzare la ripresa interna. Tuttavia, come abbiamo visto, mancano le risorse per farlo.
Resta quindi la riforma più importante, più urgente e che, invece di costare, porta solo vantaggi, ed è la riforma della Pubblica Amministrazione. Essa soffoca ormai la nostra economia, con le incertezze e i ritardi del sistema giudiziario, con la sovrapposizione (inesistente in ogni altro ordinamento) fra giustizia ordinaria e amministrativa, con la moltiplicazione formale dei controlli in modo che nessuno abbia la responsabilità dei controlli stessi, con la duplicazione dei ruoli fra amministrazione locale e centrale, con il debordare di ogni settore dell’amministrazione nel campo di competenza di altre, e con un sistema fiscale che, da un lato, permette evasioni inammissibili e, dall’altro, opprime il contribuente con procedure e costi soffocanti.
Sono queste “diversità” italiane che fanno fuggire non solo gli investitori stranieri ma anche quelli italiani. Sono queste “diversità ” che offuscano i nostri meriti e che ci pongono ingiustamente in coda alle classifiche mondiali. Sono queste “diversità”per cui, per mettere un pur doveroso rimedio alle violazioni di un’ impresa come l’ILVA, si distrugge un intero settore produttivo.
Nel cancellare queste “diversità” si dovrebbe trovare una linea d’azione comune anche nelle forze così eterogenee che oggi compongono la coalizione di governo.
La stabilità dell’esecutivo è infatti una condizione fondamentale per dare concretezza ai piccoli segnali di ripresa delle ultime settimane, ma non vi può essere stabilità di governo disgiunta da un’efficace azione di governo. Attendiamo quindi le decisioni coraggiose e urgenti che sono necessarie per rafforzare insieme il governo e la ripresa economica.