2016: senza decisioni comuni l’Europa rischia di restare ferma
Quel “circa” che non vale se si parla di economia
Articolo sul supplemento speciale de Il Messaggero del 23 dicembre 2015
Quando si parla dell’andamento dell’economia e dei suoi sviluppi futuri l’unica espressione che non si dovrebbe usare è la parola “circa”. Perché questa parola significa qualcosa di non preciso, un’atmosfera nebbiosa nella quale resta difficile districarsi.
Violentando ogni principio scientifico sono tuttavia costretto a scrivere che l’economia mondiale del 2015 si sta chiudendo “circa” come era stato previsto da queste stesse colonne nello scorso anno e che vi sono forti probabilità che l’economia dell’anno prossimo prosegua “circa” allo stesso modo.
Il prezzo del petrolio, che già era caduto un anno fa, non si è rialzato e non accenna a rialzarsi. Il commercio internazionale, che si è sviluppato ad un minimo storico dell’1,5% quest’anno, crescerà di poco più del 2% l’anno prossimo, mentre il dato di riferimento fondamentale, cioè il Prodotto Interno Lordo mondiale, è cresciuto del 2,8% nell’anno che sta per finire e probabilmente arriverà al 2,9% nel corso del prossimo anno.
Si tratta quindi di un “circa uguale” con tendenza ad un leggero (ma solo leggero) miglioramento.
Attorno a questo “circa” si vanno tuttavia profilando alcuni aspetti particolari che meritano di essere approfonditi.
Il primo riguarda l’andamento dei paesi in via di sviluppo rispetto a quello dei paesi ad elevato livello di reddito. I primi non sono infatti ancora in grado di invertire in modo radicale il processo di rallentamento iniziato lo scorso anno, sia perché colpiti dal calo delle materie prime e del petrolio, sia perché fortemente influenzati dalla crisi di alcuni di essi. Continueranno in particolare le difficoltà della Russia, saranno ancora crescenti i problemi del Brasile e del Sud Africa, mentre la crescita cinese non solo non ritornerà alle due cifre di un tempo ma faticherà a mantenere quel 7%, che pure è stato definito dal governo cinese come “normale”.
Prendiamo quindi come ipotesi probabile una Cina che cresce intorno al 6%. Un dato che, pur essendo ancora lusinghiero, si pone ben al di sotto delle cifre del passato.
Tra i paesi a più elevato livello di reddito, gli Stati Uniti sono previsti crescere del 2,4% l’anno prossimo di fronte al 2,5% di quest’anno. Quindi un piccolo calo di ritmo ma niente di drammatico per un paese già ricco e che ha superato le conseguenze della crisi economica più rapidamente di ogni altro.
Poco di nuovo anche nel ritmo di sviluppo della zona Euro che, nel 2016 si manterrà attorno alla crescita dell’1,5% registrata quest’anno. Come si vede, non si tratta di grandi cambiamenti, anche se, al suo interno, rallenteranno la Gran Bretagna e la Spagna, mentre vi sarebbe un leggero miglioramento dell’Italia che dallo 0,7% di quest’anno, dovrebbe finalmente superare il fatidico 1% nei prossimi dodici mesi.
Adagio adagio anche l’Europa sta uscendo dalla lunga depressione e si posiziona ad un ritmo di crescita intorno a quello che gli economisti definiscono come il proprio “tasso di crescita potenziale” e che, secondo i maggiori esperti, si aggira oggi in Europa intorno all’1%.
Il primo commento a queste previsioni è che, pur andando le cose un po’ meglio del passato, dobbiamo essere ben consapevoli che, in questa prospettiva, i problemi dell’occupazione potranno essere risolti solo in minima parte soprattutto per i paesi, come l’Italia che, negli anni della crisi, hanno perduto oltre il 10% della produzione industriale e che per questo vedono operare i propri impianti al di sotto della capacità produttiva. Salvo le imprese che, accrescendo la propria quota di esportazione, non si sono indebolite nei terribili sette anni trascorsi, tutte le altre strutture produttive faticano ad assumere nuova mano d’opera e ancora più faticano ad aumentare gli investimenti che costituiscono ancora il buco nero dell’economia europea.
Di fronte a questo quadro è evidente che, se si vuole passare da una semplice uscita dalla crisi ad una vera e propria ripresa, l’Europa ha bisogno di una nuova politica di investimenti e di un aumento delle risorse dedicate a Ricerca e Sviluppo, mentre molti dei suoi paesi, tra i quali l’Italia, devono aggiungere un processo di riforme sia nell’ambito delle imprese produttive che nel funzionamento della Pubblica Amministrazione, scuola e sanità comprese.
Fino ad ora a Bruxelles si è fatto ben poco. Dopo quasi un anno e mezzo da quando è stato lanciato, si discute ancora sull’efficacia quantitativa degli interventi previsti dal così detto “Piano Juncker”, mentre la loro messa in atto è ancora sulla carta.
La pur lenta ripresa europea non è partita quindi da Bruxelles ma da Francoforte, dove la Banca Centrale Europea sta continuando ad aiutare l’economia con una politica di tassi di interesse talmente bassi da presentarsi con il segno meno.
Su questo punto il futuro può darci risultati diversi dal passato perché, mentre la politica monetaria è stata fino ad ora molto simile fra Stati Uniti e zona Euro, siamo ormai di fronte a una chiara divaricazione. Negli USA è iniziato un processo di aumento del costo del denaro, che dovrebbe proseguire anche in futuro, mentre la BCE continuerà a lungo a conservare i bassi tassi di oggi.
Anche se le previsioni riguardo al mercato delle valute sono sempre difficili, si può ragionevolmente ipotizzare che, nel corso del prossimo anno, assisteremo ad un aumento del valore del dollaro rispetto all’Euro. È tuttavia altrettanto possibile che tutto questo processo sia accompagnato da terremoti valutari in altri paesi, a cominciare dalla Cina, che oggi ritiene il rimbimbi sopravvalutato.
È quindi meglio non esporsi eccessivamente nelle previsioni sui cambi e ritornare sui nostri passi precedenti, auspicando che la politica monetaria di Francoforte sia accompagnata da una migliore armonizzazione delle politiche economiche da parte dell’Unione Europea, le cui incertezze sono state la causa di una crisi che è durata troppo a lungo e dalla quale stiamo uscendo solo a passi lentissimi.
Non mi illudo però che questo cammino sia facile perché anche gli ultimi consigli europei hanno mostrato troppe differenze di analisi e una comune incapacità di decisione.
Ci dovremo quindi accontentare del “circa” con cui abbiamo esordito nelle nostre precedenti riflessioni, augurandoci che questo “circa” possa anche trasformarsi in “leggermente meglio”.