Trump e la muraglia USA per isolare la Cina

La muraglia occidentale per isolare Pechino

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 19 aprile 2025

La guerra dei dazi continua a fare danni. Non solo ai suoi protagonisti, ma al mondo intero che, secondo le ultime previsioni, vede ridurre pesantemente le prospettive di crescita, colpendo non solo gli attori diretti di questa guerra, ma la quasi totalità dei paesi emergenti.

I quotidiani colpi di scena mi impediscono di fare previsioni sugli esiti finali di questa follia ed è quindi molto probabile che le mie riflessioni di oggi vengano smentite domani da nuove impreviste decisioni.

Siamo però già in grado di distinguere due diverse fasi nella battaglia a tutto campo che vede Trump come indiscusso protagonista.

In una prima fase il Presidente americano ha sparso barriere a raffica sull’intero pianeta, con una politica che potremmo definire “Stati Uniti contro tutti“. Ai consueti attacchi contro la Cina si sono infatti accompagnate analoghe imposizioni di chiusure commerciali a tutto campo, con l’aggiunta di un trattamento di volgare disprezzo nei confronti dell’Europa.

I primi risultati di questa politica non sono stati però pari alle aspettative. Si è infatti verificata una forte tensione nei mercati finanziari, l’indebolimento del dollaro e una crescente sfiducia da parte dei detentori dell’enorme debito pubblico americano.

A questo si è aggiunta la consapevolezza che il deficit non dipendeva da una semplice concorrenza dei prezzi, ma dal fatto che venivano importati soprattutto beni che gli Stati Uniti non erano in grado di produrre o componenti indispensabili per completare le produzioni nazionali.

Il progetto di riportare in patria la produzione industriale si è presentato molto più difficile del previsto, anche in conseguenza del blocco della mano d’opera proveniente dall’immigrazione. Basta riflettere sul fatto che, mentre la quasi totalità dei cittadini americani sostiene la necessità di aumentare la produzione industriale nazionale, poco più del 20% si dimostra disposto a lavorare nell’industria.

Non solo: questa strategia porta con sé l’ovvia conseguenza che una guerra degli Stati Uniti contro il mondo intero obbliga il mondo intero a trovare un accordo contro gli Stati Uniti.

Lo spartito è quindi cambiato e Trump ha improvvisamente deciso una moratoria di 90 giorni delle nuove imposte nei confronti di 75 paesi, compresi ovviamente i membri dell’Unione Europea.

L’obiettivo di questa moratoria appare di giorno in giorno sempre più chiaro: impedire ogni alleanza globale alternativa agli Stati Uniti e obbligare il maggior numero possibile di paesi a legarsi all’America per isolare la Cina.

Il dazio del 145% nei confronti delle importazioni cinesi è solo uno strumento al quale si è aggiunto il divieto assoluto di esportare in Cina beni tecnicamente sofisticati (come i microprocessori di NVidia) e la pressione a tutto campo, dall’Europa fino al Giappone, per essere uniti nella chiusura di ogni rapporto con la Cina. Questo anche a costo di danneggiare gli agricoltori americani che esportano soia e mais e l’industria aeronautica che vede bloccate le importazioni cinesi degli aeroplani prodotti dalla Boeing.

L’obiettivo economico di un riequilibrio della bilancia commerciale si è quindi trasformato nell’obiettivo politico di un’unità nel contenere la Cina.

Naturalmente in questo quadro così politico fa sempre capolino il Trump commerciante, per cui vengono sospesi i dazi nei confronti dell’iPhone prodotto dall’Apple, in quanto non solo la parte esorbitante della sua produzione è assemblata in Cina, ma la maggioranza dei suoi 387 componenti è fabbricata nel Celeste Impero che, nel caso specifico, diventa fornitore difficilmente sostituibile per un prodotto così caro al consumatore americano.

In questo nuovo quadro strategico si è inserita la tempestiva missione di Giorgia Meloni a Washington, i cui risultati sono tra loro diversi. In primo luogo è stato raggiunto un indubbio vantaggio di immagine e di possibile ruolo per l’Italia, non solo in conseguenza dell’atmosfera cordiale dell’incontro, ma anche per l’accordo su un prossimo viaggio di Trump a Roma come possibile sede di eventuali trattative con l’Unione europea.

Accanto a questo si colloca il raggiungimento dell’obiettivo americano, sempre sostenuto da Trump, di aumentare le nostre importazioni di gas, le nostre spese militari e gli investimenti italiani negli Stati Uniti.

Tuttavia gli aspetti politicamente più importanti del colloquio sono stati altri. In primo luogo è emersa la ripetuta volontà di rendere di nuovo grande e potente il “West”, con una comune posizione nella politica interna contro le ideologie affrettatamente accomunate nel nome di “Woke”.

Ancora più importante è emerso il vero obiettivo americano: utilizzare questa convergenza del “West” per isolare la Cina.

L’incontro di Washington è stato quindi il primo passo del chiaro disegno di Trump di usare i 90 giorni di sospensione dei dazi per costruire una nuova muraglia volta, in questo caso, a contenere la Cina dentro le sue mura. Un obiettivo difficile da raggiungere anche perché occorre prima definire quali siano i reali obiettivi europei, quando quasi centocinquanta paesi su duecento commerciano oggi più con la Cina che con gli Stati Uniti.

Negli ottanta giorni che ancora mancano alla scadenza della sospensione dei dazi la pressione americana non farà che crescere e non sarà certo facile renderla compatibile tanto con i necessari equilibri nei rapporti di amicizia fra Stati Uniti ed Europa, quanto con il ruolo dell’Europa nei confronti della Cina e del resto del mondo. Su questi temi così importanti la cortesia manifestata da Donald nei confronti di Giorgia sarà messa a dura prova.

 

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