Acqua: lo spreco di una risorsa italiana
Emergenza ignorata: l’occasione mancata delle piogge torrenziali
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 08 agosto 2021
Siamo giustamente preoccupati per gli andamenti meteorologici sempre più estremi e stiamo, altrettanto giustamente, dedicando crescenti energie per evitarne le conseguenze umane ed economiche.
Questa preoccupazione ci deve obbligare a cambiare tutti i modelli di vita e i modi di produrre, ma ci ha fatto quasi dimenticare i cambiamenti da mettere in atto in Italia per meglio utilizzare una delle risorse per noi più indispensabili e familiari: l’acqua.
Non intendo parlare del pur primario capitolo degli sprechi nel suo uso e nella gestione degli acquedotti, dato che sulla scarsità di investimenti in questo settore si è già scritto in abbondanza.
Mi limiterò quindi a riflettere brevemente sui provvedimenti necessari per utilizzare questa indispensabile risorsa in modo da dare un concreto contributo nell’alleviare il danno delle mutazioni meteorologiche e nell’aumentare la produzione di energia elettrica con impatto climatico zero.
Riflettendo sulla situazione della presente estate, nella quale abbiamo avuto un quinto del paese sotto il diluvio e gli altri quattro quinti nella morsa dell’aridità, nasce evidente la necessità di moltiplicare in tutte le nostre colline e nelle nostre montagne un cospicuo numero di piccoli e medi invasi dedicati a trattenere l’acqua.
Questi invasi, se distribuiti in grandissimo numero in tutto il territorio, possono servire da ammortizzatore delle piccole o grandi piene improvvise ma, in modo più consistente, possono fornire acqua ai nostri territori che sempre più frequentemente soffrono della siccità estiva che, in questa torrida estate, ha fatto crollare la produzione della maggior parte delle colture.
Tutti continuano a ripetere che la montagna e la collina costituiscono la parte rilevante del nostro territorio: abbiamo quindi l’obbligo di garantirne il futuro con un grande progetto di carattere nazionale, anche se, ovviamente, gestito a livello regionale, che renda possibile l’accumulo di acqua in migliaia di piccoli invasi, condizione necessaria per garantire l’abbondanza e la continuità dei raccolti che sono stati invece perduti anche quest’anno.
È inutile che si continui a predicare sull’abbandono dei territori interni se non si garantiscono ai loro abitanti le condizioni per rimanerci.
Nelle letture estive ho potuto constatare che questo progetto è ritornato più volte nella nostra storia, ma mai come oggi è reso necessario dalle irregolarità climatiche e mai è stato reso così conveniente per effetto delle nuove tecnologie disponibili, che ne garantiscono la sicurezza, e delle risorse finanziarie, che ne garantiscono la fattibilità.
Senza acqua la nostra montagna e la nostra collina sono destinate a morire.
Vi è però un altro importante uso dell’acqua determinante per i nostri equilibri futuri e per la transizione ecologica: è la produzione di energia idroelettrica. Pochi ricordano che il sistema idroelettrico è stato alla base della nostra industrializzazione e che, fino al 1960, forniva al paese quasi il 90% dell’elettricità da esso consumata.
Oggi la sua quota è scesa al 18% ma, quello che più preoccupa, è che l’energia prodotta dai nostri grandi bacini è in diminuzione lenta ma progressiva, a causa dell’invecchiamento degli impianti e dell’incerto quadro normativo europeo e nazionale che si è imposto al settore.
Senza entrare nei particolari, conviene ricordare che l’Italia, unico tra i grandi paesi europei, ha applicato in modo rigoroso e letterale la liberalizzazione del settore e l’abbreviazione della durata delle concessioni, con il risultato che alle imprese straniere è consentito entrare nel nostro mercato (e noi non possiamo fare altrettanto) mentre l’accorciamento della durata delle concessioni, sta spingendo gli acquirenti, regioni comprese, a investire sempre meno nell’innovazione delle turbine e nella portata degli invasi.
La riduzione della quota di mercato dell’Enel, passata dall’85% al 25% del mercato, non ha portato quindi sostanziali benefici in questo settore, penalizzando gli investimenti, favorendo quindi l’inefficienza del sistema e la penetrazione dei concorrenti stranieri.
Questo per quanto riguarda i grandi invasi. Vi è stata invece una forte crescita dei piccoli impianti, così detti ad acqua fluente, che utilizzano il naturale corso di fiumi e torrenti.
La loro modesta potenza non risolve certo il problema dell’energia pulita, ma ne permette ancora uno sviluppo futuro con investimenti che necessitano di un contributo complessivamente molto inferiore e meno impattante anche rispetto agli impianti eolici e solari.
Credo cioè che, all’interno del PNRR, la politica dell’acqua e del suo impiego richieda un’attenzione e una priorità di cui non vi è ancora piena coscienza.
D’altra parte la scarsa importanza che noi diamo all’uso dell’acqua non può sfuggire a tutti coloro che, in questa torrida estate, hanno avuto l’esperienza di passeggiare per le nostre colline o le nostre montagne. Sempre più spesso ogni fonte che si incontra nel sentiero viene accompagnata dalla scritta “acqua non potabile”.
Il che non deriva dal peggioramento delle condizioni igienico sanitarie a monte della sorgente ma dal fatto che, travolti dalle pratiche burocratiche sempre più complesse e dall’incertezza sulle responsabilità, gli amministratori locali, invece di procedere al controllo della purezza dell’acqua, preferiscono semplicemente scrivere che l’acqua non è potabile.
Credo che, proprio per questi motivi, l’Italia sia diventato un paese sempre meno potabile.