Anche i social media devono rispettare le regole e pagare le tasse
Oltre Facebook – Colossi social: il futuro passa dal rispetto di regole e fisco
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 25 marzo 2018
Un paio di mesi fa ho avuto modo di rivedere, dopo tanti anni, un mio antico collega americano, professore di Economia Industriale a Berkeley con cui, alcuni decenni fa, avevo condiviso studi e convegni sugli strumenti utili per controllare il funzionamento del mercato ed il rispetto delle regole della concorrenza da parte delle grandi imprese.
La conversazione si è concentrata soprattutto su come in passato una crescente parte del mondo politico americano aveva reagito nei confronti dello strapotere dei giganti dell’economia che dominavano il mondo bancario, i trasporti ferroviari, il mercato petrolifero e molti settori dell’industria manifatturiera.
Una battaglia che poneva in contrasto gli interessi dei comuni cittadini con quelli di coloro che, in termini dispregiativi, venivano in passato chiamati “robber barons”, cioè veri e propri furfanti. Essi naturalmente si difendevano sostenendo che il progresso economico rendeva necessarie le grandi dimensioni e il conseguente dominio sull’economia e che, perciò, operavano nell’interesse generale.
Nella conversazione abbiamo poi ricordato come, col progredire del tempo, non solo l’abuso del potere di mercato ma la dimensione stessa delle imprese era stata sottoposta a dura critica nelle accademie, nella stampa e nelle arene politiche. A questo punto mi è venuto spontaneo chiedere come mai non vi fosse oggi negli Stati Uniti la stessa attenzione nei confronti dei nuovi giganti dell’economia come Apple, Google, Amazon o Facebook.
Essi, insieme ad alcuni confratelli cinesi, hanno infatti dimensioni, profitti e potere di mercato senza precedenti. Eppure nessun sistema legislativo ha ancora provveduto a regolarli in modo sistemico.La risposta a queste mie domande è stata estremamente semplice: queste imprese sono “simpatiche e popolari” perché i loro servizi sono nelle mani di tutti, fanno parte della vita quotidiana di tutti e mettono tutti a contatto con tutti. E, soprattutto, a differenza di quanto accadeva con i vecchi oligopolisti, i servizi di questi nuovi giganti arrivano sostanzialmente gratuiti al consumatore.
Nessun politico, ha aggiunto il mio antico collega, oserebbe toccare questa moderna “sacralità” senza essere attaccato prima di tutto dai propri figli e poi dagli amici e quindi anche dai colleghi e dagli elettori. Ha concluso poi dicendo che tutto questo sarebbe proseguito per lungo tempo a meno che non si fosse pesantemente e platealmente violato il diritto alla privacy. In questo caso si sarebbe aperta una battaglia politica simile a quelle del passato.
Il caso Facebook ha aperto questo nuovo capitolo in modo molto più rapido e più profondo di ogni aspettativa non solo per il numero delle persone coinvolte ma per avere toccato il processo stesso della formazione del potere politico.
Il modello commerciale precedentemente indiscusso per cui le persone cedono le informazioni personali per ricevere servizi gratuiti “on line” viene improvvisamente messo sotto processo e, in pochi giorni si rovescia l’atteggiamento nei confronti dei “social media” che, secondo le più recenti analisi, hanno improvvisamente perso la fiducia dei cittadini.
Facebook non apre quindi un problema limitato ad un solo episodio e nemmeno ad una sola impresa ma apre un nuovo capitolo della politica della concorrenza, un capitolo nel quale non si parte più dall’ipotesi che siamo noi a servirci dei social media ma che sono i social media a servirsi di noi.
Gli esperti del settore lo sapevano e lo ripetevano da tempo ma la vera rivoluzione sta nel fatto che da oggi questa consapevolezza è diventata sentimento comune. Conseguenza inevitabile di questa rivoluzione è la richiesta ormai corale e condivisa di una rigorosa regolamentazione dell’accesso e della diffusione delle informazioni da parte del sistema pubblico.
La “simpatia” che rendeva così diversi questi grandi colossi tecnologici rispetto agli antichi baroni è tramontata nello spazio di pochi giorni e l’intero modello economico è ormai a rischio. Mentre lo si teneva rigorosamente lontano, si chiede ora allo Stato di regolare e disciplinare l’uso dei nuovi media.
Il che finirà anche col favorire il progetto fiscale che, a livello europeo, propone di colpire fiscalmente il fatturato dei grandi colossi che operano nel web.
Bisogna naturalmente evitare il rischio di demonizzare questi nuovi media che hanno invece tanto giovato e tanto ancora giovano non solo alla nostra economia ma anche alla nostra vita quotidiana.
Essi devono semplicemente essere sottoposti alle regole fiscali e alla disciplina della concorrenza che caratterizza gli equilibri di ogni democrazia. I nuovi media non sono più così “popolari e simpatici” da essere trattati in modo diverso: la violazione della privacy espressa dal caso Facebook ha reso possibile e concreta la necessità di trattarli in coerenza con le normali regole della democrazia.