Comunque vada il referendum britannico, rischiamo un’Europa a più velocità
Incognita Brexit – Il referendum britannico cambierà la UE per sempre
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 1 novembre 2015
Il Primo ministro britannico si è impegnato a rendere pubbliche entro poche settimane le richieste che intende fare ai suoi colleghi europei in vista del referendum popolare che dovrà decidere sulla permanenza del suo paese nell’Unione Europea. Un referendum di enorme importanza e di grande incertezza, data la forte presenza degli euroscettici nei partiti e nella società britannica.
Si aprirà perciò un dibattito senza esclusione di colpi fino al giorno del referendum, che sarà presumibilmente fra un anno.
Conviene quindi fare oggi alcune riflessioni per comprendere meglio i termini di una “telenovela” che si concluderà con un voto estremamente importante per tutti noi.
Anche se nel dibattito entreranno certamente problemi contingenti, i risultati saranno profondamente influenzati da motivazioni ben radicate nella tradizione di un paese che ha aderito al progetto europeo solo dopo che era fallito il progetto britannico di costruire una struttura (chiamata EFTA) sostanzialmente alternativa al progetto europeo. Il chiaro successo economico dell’UE ha persuaso poi la Gran Bretagna ad aderire alle istituzioni comunitarie ma l’opinione pubblica britannica è sempre stata riluttante a legare il futuro del proprio paese ad una reale unione politica con gli altri membri dell’Unione Europea.
La maggioranza dei media britannici si è infatti progressivamente esercitata a sottolineare più gli elementi di distanza che quelli di prossimità all’UE.
Fino a pochi anni fa questi elementi di diversità non erano sufficienti per abbandonare il progetto europeo, prima di tutto perché esso procedeva in modo complessivamente positivo, e poi perché la formidabile forza intellettuale e contrattuale della burocrazia britannica aveva permesso di ottenere risultati estremamente favorevoli in tema di ritorni finanziari, insieme a decisioni gradite all’opinione pubblica come l’esenzione dalla libera circolazione delle persone (trattato di Schengen) e la non partecipazione all’Euro.
La Gran Bretagna ha sempre perseguito una sorta di compromesso tra una piena appartenenza e una serie di rilevanti eccezioni.
Questo fragile compromesso ha funzionato fino allo scoppio della crisi economica.
A questo punto l’idea del referendum, che fino a quel momento veniva solo dibattuta, si è trasformata in una proposta politica, anche se il primo ministro britannico ha avuto la cattiva idea di annunciarlo con quattro anni di anticipo, riducendo con questo il potere contrattuale britannico, data l’incertezza sul futuro ruolo britannico nell’Unione.
La decisione di indire il referendum è stata presa fondamentalmente per motivi di politica interna, per evitare cioè che la fronda populista (cioè il partito dell’UKIP) raccogliesse tutti i malcontenti nei confronti dell’Europa.
La situazione oggi è assai complicata: difficile fare previsioni perché la City di Londra, il governatore della Banca Centrale e la grande maggioranza delle rappresentanze del mondo produttivo sono a favore della permanenza nell’UE, mentre i media si stanno sempre più orientando verso l’uscita.
Cameron ha quindi il difficile compito di ottenere altre eccezioni, contando anche sul fatto che numerosi paesi vedono con preoccupazione l’eventuale uscita della Gran Bretagna dall’Unione (il così detto Brexit) ma non sono disposti a concedere ulteriori eccezioni alla Gran Bretagna.
Per questo motivo sarà interessante vedere cosa Cameron chiederà a Bruxelles per potere tornare a Londra come vincitore in modo da incoraggiare i suoi concittadini verso il sì all’ Europa, come vuole la maggioranza dell’establishment che lo sostiene e come lo vogliono gli amici americani.
Cameron partirà naturalmente dal motto che “mai ci dovrà essere un’unione più stretta,” per chiedere maggiori poteri al parlamento nazionale a scapito del parlamento europeo e per insistere sui limiti all’immigrazione e su una generale riduzione dei poteri di Bruxelles nei confronti delle prerogative nazionali.
Non sarà facile per Cameron raggiungere grandi risultati perché le eccezioni britanniche sono già tante e ottenerne altre non sarà semplice: in ogni caso sta cominciando una partita decisiva per il futuro dell’Europa perché il dibattito sul Brexit non si manterrà certo nei limiti stretti delle singole concessioni.
Anche se vincerà il sì all’Unione, questi lunghi mesi di discussione faranno infatti emergere divergenze tali da rendere poi indispensabile un definitivo chiarimento sull’Europa futura. Qualsiasi sia l’esito del referendum, le ferite provocate dall’imminente dibattito sull’appartenenza della Gran Bretagna all’UE renderanno più probabile un cammino verso un’Europa a più velocità, con alcuni paesi proiettati verso un’unione più stretta ed altri che concepiscono l’Europa come poco più di un’unione doganale. Oggi è prematuro parlare di questo ma il dibattito sul Brexit renderà indispensabile una decisione in proposito, anche perché l’Unione Europea non può essere ancora a lungo un pane cotto a metà‘.