Con Papa Francesco una nuova Chiesa che viene incontro ai problemi concreti dell’umanità

Il Papa e Roma palcoscenico delle angosce del mondo

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 30 giugno 2014

Quello che immediatamente colpisce, in questa come in altre interviste di Papa Francesco (ma in questa ancora di più) è l’immediatezza del dialogo. Le riflessioni e le osservazioni sono dirette come in una conversazione familiare. Si va al cuore dei problemi, senza aggiustamenti. Ma una familiarità che, proprio perché tale, elenca senza alcuna mediazione i grandi drammi dell’epoca in cui viviamo.

Papa Francesco parla di Roma e del suo insostituibile ruolo nel mondo cristiano (perché il pastore universale è tale solo in quanto vescovo di Roma) ma parla anche dI Roma come esempio delle difficoltà e delle angosce del mondo. Come a dire: la città che è il cuore della cristianità è anche il cuore del dramma del nostro tempo. Certo condivide in pieno l’angoscia della miseria materiale e spirituale delle grandi metropoli. Anche Roma è una città che, come la sua Buenos Aires, è spettatrice delle peggiori schiavitù e non riesce ad essere il faro di un mondo che, in questa fase di passaggio d’epoca, stenta a trovare la strada della solidarietà e della pulizia morale.

Per aiutare il superamento di questo passaggio Papa Francesco sottolinea alcuni punti fondamentali.

In primo luogo, di fronte alla schiavitù del denaro, la politica deve assumersi fino in fondo le proprie responsabilità, mentre invece essa è sempre più preda dell’indifferenza e della corruzione. Una corruzione così diffusa da coinvolgere anche persone che vorrebbero “fare le cose chiare” ma che poi si trovano in difficoltà, come se fossero “fagocitate da un fenomeno endemico e trasversale”. Non perché questa “sia la natura della politica”, ma perché in un cambio d’epoca, ” le spinte verso una certa deriva morale si fanno più forti”. Dunque senza la politica, senza l’esercizio della sua responsabilità, senza il controllo democratico, senza il rispetto dei diritti, senza l’ispirazione a realizzare il bene comune l’esito può essere solo l’imbarbarimento e la perdita della dignità personale.

Se la politica non si sforza di provvedere nemmeno ai bisogni più elementari dei cittadini, essa crea un disagio tale da fare crollare le fondamenta stesse della società civile. A questo proposito il Papa sottolinea in modo nuovo la profonda connessione fra povertà morale e povertà materiale: entrambe spingono al degrado dei comportamenti.

Francesco parla con semplicità ma riesce a farci capire la complessità delle tante culture che si incrociano nelle nostre megalopoli, entrando anche nella concretezza del quotidiano, come quando si riferisce alle “tribù urbane dei giovani”.

A questi messaggi diretti a tutto il mondo Francesco fa seguire un richiamo specifico all’Europa, madre dei diritti e del progresso civile, ma che sta sempre più rinunciando al proprio compito storico. Un’Europa che, nelle parole di Francesco, sembra essersi “stancata di fare la mamma, preferendo fare la nonna” anche se il mondo, senza un vigoroso contributo della cultura e dell’esperienza europea è destinato a impoverirsi sempre di più.

Questo richiamo alle responsabilità dell’Europa non si traduce però in un progetto eurocentrico: nell’intervista di Francesco vi è la piena consapevolezza della nuova e crescente importanza dell’Asia nella sua missione pastorale. Non solo viene dato uno speciale accento ai suoi prossimi viaggi in Corea, Sri Lanka e Filippine ma viene riservata un’attenzione del tutto particolare alla Cina, sia per la numerosità e la grandezza del suo popolo ma soprattutto perché il rapportarsi con la Cina costituisce una sfida culturale non grande ma “grandissima”. Riguardo alla Cina non richiama i problemi diplomatici che hanno reso difficili i rapporti nella storia recente ma si riferisce direttamente al suo confratello gesuita Matteo Ricci, che negli ultimi secoli ha sempre costituito un momento fortemente positivo nei rapporti tra la Chiesa Cattolica e il Celeste Impero. La sfida non è infatti politica ma culturale. Forse non è secondario sottolineare che, parlando dell’Asia, Papa Francesco abbia messo in una luce particolare l’esperienza della Corea, dove il cattolicesimo è rimasto vivo pur in assenza di preti per un periodo di ben due secoli. Non è un richiamo casuale ma un modo concreto per sottolineare il ruolo che i laici dovranno svolgere nella Chiesa.

Forse l’istituzione non è ancora pronta, ma il futuro sarà sempre più affidato alla responsabilità dei laici: uomini e, soprattutto, donne.

Un altro punto programmatico caratterizza la conversazione col Messaggero ed è l’impegno a “lavorare di più sulla teologia della donna.” E’ anzi utile tenere conto dell’affermazione che “si sta lavorando in questo senso”. Ci possiamo quindi aspettare novità.

Vi è infine un ultimo messaggio a cui dobbiamo attribuire la massima attenzione e cioè il ripetuto accento su una scelta sempre più collegiale nel governo della Chiesa. Non è certo casuale che Francesco ripeta che nessuna decisione è stata da lui presa “da solo” ma in un procedimento collegiale che, con consapevole ironia, confessa di non sapere se sia un “approccio democratico” . Un metodo di governo che Francesco definisce “sinodale”, con un’espressione non certo di uso quotidiano ma che mi sembra esprimere un nuovo concetto di condivisione.

Una condivisione che ritorna in ogni passaggio dell’intervista, nella quale alla Chiesa viene dato il compito di venire incontro ai problemi dell’umanità uscendo nelle strade, cercando la gente, andando nelle case e nelle periferie. Non una “chiesa che riceve soltanto ma che offre”. L’intervista nel giorno di S. Pietro e Paolo è stata quindi non solo l’occasione per parlare in modo diretto e familiare ai cittadini romani ma per lanciare, attraverso di loro, un messaggio a tutta l’umanità che soffre i drammi di questo passaggio d’epoca.

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
giugno 30, 2014
Articoli, Italia