Dopo aver eliminato Gheddafi, ora sperano in un nuovo dittatore
L’incapacità dell’Onu – Il paradosso di chi spera in un dittatore per la Libia
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 19 novembre 2017
A rendere ancora più tragica la tragedia libica mancava solo la lite fra l’Onu e l’Unione Europea (Italia compresa).
A scatenare questa lite sono stati i media che hanno mostrato a tutto il mondo quello che gli addetti al lavoro sapevano da tempo e che le colonne di questo giornale avevano già chiaramente denunciato: che nel territorio libico i migranti vengono trattati in modo inumano.
Le scene crudeli che gli schermi della CNN hanno portato nelle nostre case non rappresentano purtroppo nulla di nuovo: le accuse incrociate fra l’alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite e l’Unione Europea hanno solo reso evidente l’impotenza delle istituzioni internazionali di fronte a una Libia ancora divisa tra due governi, a loro volta impotenti di fronte al controllo che le diverse bande e le diverse tribù esercitano sul territorio.
Alcuni tra i paesi interessati al conflitto libico hanno concluso parziali accordi con gruppi di potere locale, soprattutto allo scopo di bloccare o rallentare, come è accaduto nel caso italiano, il flusso dei migranti che attraversano il deserto libico per arrivare in Europa.
In un paese dominato dalle lotte fratricide questi accordi sono tuttavia, per loro natura, parziali e fragili e, per definizione, fingono di non vedere ciò che capita nelle aree comandate dalle bande criminali.
Oggi però non possiamo più fare finta di non vedere le aste degli schiavi che la CNN ci ha mostrato, così come non possiamo rimuovere l’immagine delle migliaia di migranti inghiottiti dalle acque del Mediterraneo.
Mentre accadono queste tragedie si sta anche completando il crollo della società e dell’economia libica. Sono al collasso gli ospedali, si interrompe sempre più spesso il rifornimento dell’elettricità e del gas, la Banca Centrale ed il petrolio non sono più sotto il controllo del governo.
Mettere finalmente a nudo queste verità non sembra però aiutare la soluzione del conflitto. Il Consiglio di Sicurezza continua a ignorare il problema libico e, tra i suoi componenti, solo la Francia esercita costantemente una presenza attiva all’interno del paese, sorvegliando le frontiere confinanti con i paesi francofoni, mantenendo i rapporti con il governo di Tripoli ma anche operando attivamente nel campo avverso, a fianco del generale Haftar.
Gli altri componenti del Consiglio di Sicurezza, cioè i “grandi” della terra, si comportano come se il conflitto libico possa trovare la sua soluzione nel gioco delle forze all’interno del paese.
Per quanto riguarda l’evoluzione della situazione interna, il generale Haftar lancia continui messaggi con i quali cerca di fare capire che solo lui può essere l’uomo forte, capace di riunificare tutta la Libia. Un giorno annuncia di avere sotto il suo comando la gran parte del territorio e di essere ad un passo dal conquistarlo tutto. Il giorno dopo fa scivolare il messaggio che vi è ormai un accordo con i potentati di Misurata per dare il colpo finale al debole governo di Tripoli. Tuttavia il giorno dopo ancora tutto questo viene smentito e il generale Haftar ritorna ad essere solo uno dei protagonisti (anche se certamente il più forte) di una sempre lontana soluzione del caso libico.
Dopo sei anni di una guerra che la comunità internazionale aveva voluto per abbattere un dittatore, la stessa comunità internazionale sembra limitarsi ad attendere che l’arrivo di un nuovo uomo forte risolva i problemi che essa non è in grado di affrontare. Si continua perciò a parlare di elezioni, come se esse potessero essere messe in atto nella completa anarchia esistente nel paese, mentre non vi è alcun accordo nell’ambito del Consiglio di Sicurezza per obbligare le diverse tribù e i diversi potentati libici a sedersi attorno a un tavolo alla ricerca di una possibile soluzione.
Come purtroppo sempre avviene nella politica mondiale, il Consiglio di Sicurezza si dimostra in grado di affrontare i conflitti minori, nei quali non sono in gioco gli interessi delle grandi potenze, ma è incapace di intervenire quando tali interessi sono in contrasto fra di loro.
Siamo ormai arrivati al più imprevisto paradosso: la speranza non espressa che un nuovo dittatore sostituisca il vecchio e risolva lui quello che né le istituzioni internazionali né le grandi potenze hanno voluto affrontare. Nell’attesa di questo evento si è ritornati al vecchio gioco di rimpallarsi la responsabilità delle presenti tragedie. Questa è purtroppo la vera spiegazione dello scambio di accuse fra l’Onu e l’Unione Europea. Dopo sei anni di guerra non vi è certo ragione di rallegrarsi.