Energia pulita, una proposta per evitare la guerra delle trivelle
Energia pulita, una proposta per evitare la guerra delle trivelle
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 3 aprile 2016
La domanda a cui sono chiamati a rispondere gli italiani che si recheranno fra poche settimane a votare il cosiddetto referendum anti-trivelle riguarda un quesito molto specifico. Non saremo infatti chiamati a votare quali e quante perforazioni saranno permesse nei nostri mari, perché su questo esiste già una normativa giustamente tra le più rigorose del mondo. Una normativa che, tra l’altro, proibisce in modo assoluto qualsiasi nuova perforazione ad una distanza inferiore di dodici miglia dalle nostre coste. I cittadini italiani dovranno semplicemente decidere se le imprese che già oggi operano (spesso da molti decenni e sempre senza alcun incidente) entro le dodici miglia, possano continuare ad estrarre gas e petrolio dai giacimenti esistenti fino al loro naturale esaurimento.
Voglio subito chiarire che ho sempre ritenuto e tuttora ritengo che la protezione del pianeta e del suo futuro debba essere una priorità assoluta e ricordo con piacere di avere portato a termine con successo come Presidente della Commissione Europea la lunga e difficile battaglia per l’approvazione del protocollo di Kyoto che, pur con i limiti che tutti riconosciamo, è stato il primo documento obbligante sul piano internazionale per la protezione del pianeta. Non è stata questa una battaglia facile perché condotta contro gli Stati Uniti e la Cina, che si opponevano ad ogni impegno collettivo in questa direzione.
Ritengo quindi che il passaggio verso l’uso di energie non inquinanti sia un dovere prioritario della nostra società e, di conseguenza, negli anni del mio governo, ho spinto nella misura possibile, verso l’incentivazione delle energie rinnovabili, che ora coprono una quota assai elevata del nostro fabbisogno energetico. Tali fonti di energia provvedono infatti al 15% del consumo totale rispetto al 6% di quindici anni fa.
Il fatto che il passaggio verso le fonti non inquinanti debba essere messo in atto nel più rapido tempo possibile non ci esime tuttavia dall’obbligo di farlo usando l’intelligenza e tenendo conto degli elementari interessi del nostro paese.
Nel caso in questione si tratta di impianti che operano da moltissimi anni in rigorosa sicurezza e che non sostituiscono o rallentano l’uso di energie alternative. Essi semplicemente sostituiscono una quota del gas e del petrolio che, in questa progressiva fase di cambiamento del mix energetico, saremmo obbligati ad importare dall’estero per ancora molti anni.
L’alternativa non è perciò tra idrocarburi o energie rinnovabili ma tra comprare dall’estero o produrre noi gli idrocarburi che necessariamente siamo obbligati a consumare in questa fase di transizione.
Gli idrocarburi in questione provengono da impianti che da tempo esistono senza provocare danni al turismo o ad altra attività economica, come dimostra il caso dell’Emilia-Romagna, dove si concentra il massimo numero di queste “trivelle”. Se non utilizzeremo questi impianti anche per il futuro, il nostro paese sarà obbligato a esborsi di denaro all’estero e alla rinuncia di sostanziali royalties.
Senza naturalmente tenere conto dei danni che una chiusura anticipata degli impianti produrrebbe al nostro sistema industriale per la perdita degli investimenti sugli impianti esistenti e, soprattutto, per la fuga degli operatori stranieri, allontanati dai continui cambiamenti delle nostre regole del gioco in corso d’opera.
Proprio in coerenza con la priorità che il nostro paese deve dare alla protezione del pianeta voglio tuttavia accompagnare il ragionamento che mi spinge a dire no a questo referendum con una proposta che può aiutare la trasformazione del nostro sistema energetico verso consumi compatibili con l’ambiente in modo razionale ed efficiente proteggendo, nello stesso tempo, i legittimi interessi del nostro paese e delle nostre imprese.
Il governo dovrebbe cioè impegnarsi a dedicare tutte le risorse che arriveranno dalla continuazione dei proventi derivanti dagli attuali giacimenti per incentivare la ricerca, la produzione e la conservazione delle energie rinnovabili.
In questo settore, che pure abbiamo tanto sviluppato, siamo quasi esclusivamente importatori dall’estero delle necessarie tecnologie e abbiamo dato un contributo del tutto trascurabile alla loro innovazione.
Con un incentivo che sta fra i 300 e i 400 milioni di Euro all’anno ( questo è l’ammontare delle royalties che le imprese oggi pagano) possiamo rendere possibile lo sviluppo di iniziative di avanguardia in alcune delle molteplici specializzazioni nelle quali si articola il complesso e raffinato settore delle energie alternative.
In poche parole possiamo importare meno petrolio e meno gas dedicando maggiori risorse alle energie pulite ed entrando finalmente nel gruppo dei paesi che innovano e producono in questo settore che tanto sta a cuore a tutti noi.