Fallimento a Davos: più disoccupazione e disuguaglianza se il mondo rimane in mano ai big di Internet
Silenzio a Davos – L’iniquità del mercato se dilagano i big del web
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 28 gennaio 2018
Il compito che erano chiamati a svolgere a Davos i grandi della terra era quello di “costruire un futuro condiviso in un mondo fratturato”. Un compito nobile, la cui urgenza era sottolineata dalla contemporanea presentazione del rapporto Oxfam sulle disparità. Rapporto in cui si legge che l’1% della popolazione mondiale controlla oltre la metà della ricchezza dell’intero pianeta e, soprattutto, che questo 1% ha incamerato l’82% della ricchezza creata nello scorso anno. Lo stesso rapporto insiste sul fatto che a “coloro che cuciono i nostri vestiti, producono il nostro cibo quotidiano e assemblano i nostri telefoni” è andata una parte trascurabile della ricchezza da loro stessi prodotta. Con amara ironia Oxfam sottolinea infine che queste conclusioni non sono il frutto di analisi condotte da gruppi eversivi ma emergono dai dati contenuti nelle pubblicazioni ufficiali del Credit Suisse che, guarda il caso, è proprio lo sponsor ufficiale del forum di Davos.
Tuttavia, a dispetto di queste nobili premesse, nessun leader politico ha formulato proposte per raggiungere non tanto l’impossibile obiettivo di eliminare le disuguaglianze ma, almeno, di evitare che esse crescano ulteriormente.
Eppure sarebbe adesso il momento opportuno per mettere all’ordine del giorno questo progetto proprio perché l’economia mondiale è in una fase di crescita superiore alle attese e, come è stato infinite volte ripetuto, se il tetto di una casa sta crollando, bisogna ripararlo quando c’è bel tempo.
Anche perché il futuro non sembra aiutarci in questa direzione: le nuove tecnologie stanno infatti concentrando in poche mani un potere di mercato e una forza finanziaria che non ha precedenti nemmeno nel periodo in cui si affermarono i grandi potentati del petrolio e delle ferrovie.
La capitalizzazione in borsa della sola Apple ha superato la mostruosa cifra di 900 miliardi di dollari e i suoi dirigenti non nascondono l’obbiettivo di raggiungere in breve tempo il traguardo dei mille miliardi.
Questo è solo un esempio: un analogo impressionante potere di mercato è in mano agli altri grandi protagonisti della nuova economia, come Google e Facebook, con la loro capacità di offrire a miliardi di persone “una crescente mole di messaggi ed intelligenza artificiale”. A questi si aggiungono altri colossi, tra i quali mi limito a ricordare Amazon e Alibaba che, grazie alla rete, stanno generando una progressiva rivoluzione del commercio e delle abitudini dei consumatori di tutto il mondo.
Si tratta certamente di evoluzioni positive che, per tantissimi aspetti, cambiano in meglio la nostra esistenza, ma che, almeno fino ad ora, mostrano due caratteristiche preoccupanti. In primo luogo questi grandi “gestori di informazioni” tendono a sfuggire, più di ogni altro nel passato, ad ogni controllo statuale, soprattutto di carattere fiscale. In secondo luogo, mentre assorbono un numero relativamente limitato di nuovi specialisti, eliminano una quantità enorme di posti di lavoro di livello meno qualificato.
Non si tratta di piccoli numeri ma di cifre così imponenti da modificare in modo radicale il mercato del lavoro, diminuendo in assoluto il numero degli occupati e aumentando le disparità salariali.
Di fronte a quest’evoluzione già in corso l’unica voce che ha fatto riferimento alle future trasformazioni è stata quella di Angela Merkel, la quale ha ricordato che la padronanza dell’enorme mole di informazioni (i così detti big data) deciderà il nostro destino perché i “big data” sono la materia prima del XXIº secolo. Coloro che saranno esclusi dal loro possesso non potranno che alimentare una diffusa ribellione (un moderno luddismo) capace di mettere a rischio le stesse istituzioni democratiche.
Su questo tema dovremo ritornare con maggiore approfondimento in futuro. Per ora ci basta sottolineare quanto siano importanti queste riflessioni della Cancelliera tedesca. Riflessioni che, tuttavia, non sono state accompagnate da alcuna concreta proposta da parte di nessuno dei grandi della terra che si sono succeduti sul palco di Davos.
Non voglio con questo diminuire l’importanza del dibattito che si è svolto sui temi fiscali e, soprattutto, sulle politiche del commercio internazionale perché anche le scelte in questi campi incideranno profondamente sul nostro futuro. Tuttavia sarà ancora maggiore l’influenza dell’aumento delle disuguaglianze e dell’ulteriore peggioramento del mercato del lavoro.
Di questo a Davos non si è detto nulla. Come riflessione sintetica su quanto è accaduto sulle montagne svizzere sono quindi costretto a concludere che il mondo rimane “fratturato” come prima e che non vi è ancora alcuna prospettiva di un futuro “condiviso”. Se possiamo quindi trarre qualche respiro di sollievo per il buon andamento temporaneo dell’economia mondiale dobbiamo parimenti ricordare che il sistema economico globale non dispone ancora di una bussola politica in grado di dare una direzione al suo futuro.