Gli inglesi se ne vanno: nuove occasioni per l’Italia
Effetti dello strappo – Un divorzio più facile con occasioni per l’Italia
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 14 dicembre 2019
La vittoria di Boris Johnson è risultata ancora maggiore del previsto. Solo Londra e la Scozia hanno resistito di fronte al trionfo del Partito Conservatore, mentre hanno ceduto perfino le roccaforti laburiste delle tradizionali aree operaie.
Senza addentrarmi nell’analisi del voto credo che sia opportuno approfondirne le conseguenze.
In primo luogo è diventata certa l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea ed è quindi esclusa ogni ipotesi di ripetizione del referendum. Diventa inoltre quasi impossibile ogni ipotesi di distacco della Scozia dal Regno Unito. Anche se in Scozia si è registrato un vero e proprio trionfo del Partito Nazionalista, del tutto contrario alla Brexit, un referendum per il distacco può essere infatti autorizzato solo dal Parlamento di Westminster. La maggioranza conservatrice, resa così forte dal voto dello scorso giovedì, impedirà infatti ogni consultazione popolare in materia.
In secondo luogo si cercherà di costruire (almeno in una prima fase) un legame ancora più forte fra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Le dichiarazioni trionfali di Trump parlano perfino di un nuovo trattato tra gli USA e il Regno Unito “molto conveniente rispetto ad ogni accordo con l’Unione Europea”. Non sono convinto che questo obiettivo sia facile da raggiungere perché gli Stati Uniti, almeno in questa fase storica, non sono disposti ad aprire il proprio mercato nemmeno ai migliori amici. Le parole di Trump sono un ennesimo atto di ostilità nei confronti del concorrente europeo e non un gesto di generosità nei confronti della Gran Bretagna.
La terza osservazione riguarda il sentimento quasi di sollievo con cui l’esito elettorale è stato ricevuto a Bruxelles. Non si respira l’aria di lutto che si era creata in occasione del referendum sulla Brexit. Dopo oltre tre anni di incertezze, che tanto danno hanno portato in entrambe le sponde della Manica, vi è almeno un fatto acquisito: il 31 gennaio sarà proclamata la Brexit.
Da quel giorno cominceranno le difficili trattative sulle sue modalità e si litigherà su tutto: sui diritti dei cittadini europei in Gran Bretagna e sui diritti dei cittadini britannici nell’Unione, sugli standard alimentari, sulle cooperazioni scientifiche, sugli accordi industriali, sui diritti di pesca e….. su tanto altro.
Per concludere il negoziato ci vorrà probabilmente più dell’anno previsto. Il compromesso sarà però facilitato dalla singolare unità dei negoziatori europei sotto la confermata guida di Barnier e, soprattutto, dalla dimensione della vittoria di Johnson, che non dipenderà dalle correnti più oltranziste del suo partito e potrà quindi trattare con maggiore flessibilità.
Un’ulteriore riflessione deve essere naturalmente rivolta ai 700.000 italiani che vivono in Gran Bretagna e a tutti coloro che, lavoratori, studenti o turisti, intendono recarsi in un paese con il quale abbiamo tanti legami. Anche se sono stati inviati messaggi tranquillizzanti a chi già lavora regolarmente nel Regno Unito e anche se sono convinto che l’interesse comune spingerà a rendere meno traumatico il cambiamento delle regole, resta tuttavia chiaro che, alla fine del negoziato, la Gran Bretagna sarà un paese terzo. Si dovranno quindi introdurre passaporti e visti e gli studenti saranno probabilmente assoggettati ai costi, assai più gravosi, ai quali sono sottoposti oggi gli studenti extracomunitari.
Qualcuno si chiederà perché siamo arrivati a questo punto, dato che tutti ci rimettono, soprattutto da parte britannica.
In primo luogo bisogna ammettere che la Gran Bretagna è entrata nell’Unione europea per necessità e non ha mai avuto una visione costruttiva nei confronti dell’Europa. Ricordo che, anche ai tempi in cui si proclamava favorevole all’ Unione, come col governo di Tony Blair, dovevo dedicare una non trascurabile parte delle mie energie di Presidente della Commissione Europea a trattare delle eccezioni britanniche portate avanti in ogni occasione. In secondo luogo siamo ora in un’epoca nella quale i problemi economici sono sempre più spesso accompagnati o sovrastati dai problemi che riguardano la propria identità storica e culturale.
In Gran Bretagna, più ci si allontana dalla City, più il presente lascia il posto alle nostalgie del passato.
Un’ultima riflessione deve riguardare l’Italia. In questi tre anni di preparazione alla Brexit molte imprese, non solo nel settore bancario e finanziario, hanno lasciato la Gran Bretagna per assicurarsi il futuro nel grande mercato europeo. Il flusso verso l’Italia è stato sostanzialmente inesistente. Capisco che il nostro paese ha problemi particolari ma credo che abbia anche risorse particolari, a partire da un costo della mano d’opera, anche specializzata, ormai molto inferiore a quello tedesco o francese. Penso quindi che sia opportuno che governo e organizzazioni produttive dedichino un’attenzione particolare a come partecipare attivamente a questo processo di adattamento che avrà luogo in Europa. Così come penso che non poche strutture di ricerca e di insegnamento potrebbero riflettere sulle conseguenze che la Brexit porterà sui nostri espatriati e sulle destinazioni degli studenti extraeuropei. Non posso infine dimenticare che la Borsa di Milano è ora posseduta dalla Borsa di Londra in conseguenza di una decisione presa quando nemmeno si pensava alla Brexit.
Ogni nuovo evento richiede infatti nuove riflessioni e nuove decisioni. È bene quindi che anche in Italia si rifletta e si decida sulle conseguenze di questo grande evento che è la Brexit.