Inutile che il governo prenda decisioni se poi non vengono applicate
La macchina pubblica è un freno alla ripresa
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 19 gennaio 2014
Ogni giorno abbiamo qualche medico che si avvicina al letto del paziente Italia con rigorose diagnosi, infauste prognosi e improbabili terapie.
Venerdì scorso abbiamo avuto addirittura due consulti di illustri primari: la Banca d’Italia e l’ormai onnipresente commissario europeo Olli Rehn. Sostanzialmente nulla di nuovo nella diagnosi: siamo ancora zoppi e camminiamo quindi più adagio degli altri, non solo degli extraeuropei, che corrono, ma anche dei paesi europei che, pur faticosamente, si sono rimessi in cammino.
Sulla prognosi si ribadisce che la guarigione sarà molto lenta (sostanzialmente al di sotto dell’uno per cento per i prossimi due anni) e che sarà quindi necessario un lungo periodo di riabilitazione. La Banca d’Italia ci ricorda inoltre che, nonostante questa timidissima ripresa, la disoccupazione tenderà ancora ad aumentare, date le evoluzioni delle nuove tecnologie e i mutamenti dei sistemi produttivi. Completamente d’accordo su quanto scritto, anche se bisognerà ritornare in modo specifico sulle cattive prospettive dell’occupazione, perché la rivoluzione in corso è più profonda rispetto a quanto non si prevedeva in precedenza.
In complesso sono un po’ triste ma non certo sorpreso per queste diagnosi. Certamente, se si fosse stati un po’ più prudenti nel dichiarare, fin da prima dell’estate, che eravamo in piena ripresa, oggi saremo meno delusi.
Il problema vero nasce dall’esame delle terapie. Si continua ad insistere sul controllo della spesa e sulle dismissioni (cioè le privatizzazioni e la vendita del patrimonio pubblico).
Nulla da obiettare sul controllo della spesa perché siamo di fronte a evoluzioni sostanzialmente inspiegabili, tenendo conto che essa è continuata ad aumentare pur in presenza di ben trecentomila addetti in meno nel settore pubblico. E’ vero che gli stipendi dei vertici dei funzionari pubblici sono arrivati a livelli superiori a quelli degli altri paesi ed è altrettanto vero che i “costi della politica” e l’aumento dei tassi di interesse del debito hanno contribuito ad appesantire il deficit. Il povero responsabile della “spending review” si trova perciò di fronte al difficilissimo compito di riesaminare da zero le spese del governo centrale e, soprattutto, quelle delle regioni e degli altri enti locali.
Sulla raccomandazione delle privatizzazioni bisogna invece essere ben chiari. L’Italia ha privatizzato il suo sistema produttivo più degli altri paesi europei e, anche se qualche piccola quota può essere messa in vendita, non possiamo certo pensare di alienare il pacchetto di comando di ENI, Enel, Finmeccanica o la quota di comproprietà col governo francese dell’STMicroelectronics, unica impresa di componenti elettronici avanzati che possediamo.
Nemmeno possiamo illudere noi stessi e gli altri di ricavare cospicue somme dalla vendita degli immobili pubblici. Non perché non ve ne sia un gran numero da alienare ma perché, realisticamente, queste operazioni non si mettono in atto quando il mercato immobiliare è a livelli così depressi come oggi in Italia. Sarebbe semplicemente una svendita, anche se condotta tramite i più sofisticati strumenti finanziari.
Vi è certo uno spazio maggiore per le alienazioni delle numerosissime aziende pubbliche locali, riguardo alle quali è necessario apprestare un progetto organico, accompagnato da una idonea strategia industriale ed organizzativa. Occorrono cioè direttive di politica industriale, sulle quali non ci si è ancora misurati.
Nelle terapie è stata, per fortuna, messa in secondo piano la diminuzione dei salari. Essa si è trasformata in un invito alla riduzione del cuneo fiscale, invito non certo facile da mettere in pratica, data la rigidità imposta ai nostri conti pubblici.
I sapienti medici europei, a partire dal primario Olli Rehn, sembrano tuttavia continuare a ignorare che il problema della mancata ripresa italiana deriva dalla crisi della domanda interna.
Occorre quindi una strategia volta a rivitalizzare la domanda interna.
Questa strategia passa prima di tutto attraverso la ripresa del credito alle famiglie e alle imprese. Negli ultimi mesi la provvista di credito ha continuato a calare, nonostante la minore tensione dei mercati finanziari. Tutte le ipotesi di intervento (a cominciare dalla Bad Bank) sono state lasciate nel cassetto.
Continuiamo quindi a vivere nella situazione paradossale in cui tutte le nostre strutture economiche, a cominciare dalle banche, sono sottocapitalizzate, pur in presenza di una liquidità senza precedenti.
Il governo ha opportunamente deciso di accelerare il pagamento dei debiti nei confronti delle imprese creditrici ma i pagamenti effettivi continuano a procedere con incredibile lentezza.
A questo punto arriviamo al nocciolo del problema, che è il funzionamento della macchina pubblica.
I provvedimenti del governo e del parlamento vengono presi e annunciati con grande solennità ma non vengono poi messi in atto, con tutte le conseguenze del caso.
Può essere solo un fatto folcloristico ricordare che, pochi mesi fa, erano ancora mancanti alcuni passaggi burocratici necessari per mettere in atto alcune liberalizzazioni decise dal ministro Bersani durante il mio governo, ma desta più preoccupazione notare che oltre la metà dei provvedimenti attuativi delle decisioni del governo Monti e una maggioranza bulgara di quelle del governo Letta debbono ancora essere scritti.
E’ inutile continuare a elencare l’importanza delle decisioni prese, se poi queste decisioni non hanno effetti concreti.
Questa non è però una cura che ci può essere imposta da Bruxelles perché i medici comunitari si fermano anch’essi a giudicare le decisioni formali e non la loro effettiva applicazione.