Irak, Libia, Siria: nel mondo globale le guerre non si vincono e non finiscono mai
Dalla Libia all’Irak. Pozzi di petrolio l’obiettivo della nuova fase dei terroristi
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 15 giugno 2014
La guerra in Iraq assume toni e caratteristiche diverse ma sembra durare in eterno. L’ultimo atto della tragedia è l’impetuosa avanzata dei terroristi verso Bagdad. Si tratta di terroristi di nuovo tipo. Essi non sono solo crudeli e ben addestrati ma vanno ben oltre i ben conosciuti sanguinosi attentati. I nuovi terroristi sono in grado di occupare interi territori, con l’obiettivo di costruire una nuova nazione comprendente una sostanziale parte dell’Iraq e della Siria. I guerriglieri che hanno conquistato la seconda città Irachena (Mosul) e che ora si trovano a poco più di cento chilometri chilometri da Bagdad, si definiscono infatti “combattenti del nuovo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante” (ISIS). In poche settimane hanno fatto centinaia di morti e si sono resi colpevoli di provate crudeltà. Pur essendo non più di undicimila, hanno sbaragliato l’esercito iracheno, di oltre dieci volte superiore, esercito che è fuggito abbandonando sul campo armi modernissime, compresi numerosi carri armati in perfetta efficienza. Potemmo dire “chiavi in mano”.
Non occorre molta fatica per dare una spiegazione di questo evento, dato che l’attuale governo ha gestito l’Iraq calpestando i diritti delle minoranze, umiliando le strutture militari e alimentando un livello di corruzione quasi inimmaginabile. Gran parte dell’immenso flusso di denaro destinato alla ricostruzione del Paese è finito ad ingrassare un regime sempre più lontano dal popolo.
Non voglio tuttavia soffermarmi ulteriormente a spiegare le origini e le evoluzioni di una delle più crudeli tragedie della storia contemporanea: il fatto nuovo è che il terrorismo sta assumendo una realtà statuale, permettendo alla Jihad islamica di compiere un ulteriore salto di qualità.
Gli Stati Uniti e i loro alleati sono atterriti da una simile prospettiva ma le possibilità di reazione sono molto limitate, non solo per la caotica situazione della politica irachena ma anche perché nessun cittadino americano è disposto a riaprire la ferita di una guerra che era stata presentata come una facile passeggiata e si è invece rivelata un’impresa difficile, costosa e causa di migliaia di vittime nello stesso esercito americano.
Anche se Obama proclama che tutte le opzioni sono aperte e che egli sta valutando un intervento militare, è chiaro che nessuno soldato americano sarà mandato a morire in Iraq e che l’aiuto si limiterà ad armi e denaro. Anche le prese di posizione degli avversari politici che accusano Obama di essere un imbelle non potranno mai riportare i soldati americani sulle rive del Tigri e dell’Eufrate. Saranno inviati sostanziosi aiuti militari ma essi non potranno essere sufficienti a cambiare la situazione. Il governo americano ha infatti recentemente stanziato altri 15 miliardi di dollari per fornire l’esercito iracheno di armi moderne ed efficienti ed i risultati sono quelli che vediamo.
La speranza di fermare gli Jihadisti rimane legata alla formazione di un governo di solidarietà nazionale, comprendente Sciiti, Sunniti e Curdi ma è un’ipotesi estremamente improbabile, dato che il primo ministro Maliki ha sempre impostato la sua politica sulla loro sanguinosa divisione. A meno che non si ricorra all’aiuto del’arcinemico governo iraniano, ma nemmeno questo è un cammino facilmente percorribile.
Anche se il contesto è diverso, la dissoluzione dello Stato libico dopo la morte di Gheddafi sta producendo l’analogo rischio di costituire un vuoto di potere nel quale le forze legate al terrorismo internazionale non solo continuano nella serie di attentati, rapimenti e violenze ma esercitano un progressivo controllo di un territorio sempre più vasto.
Non si è ancora arrivati a occupazioni militari come nel caso iracheno ma la tenaglia fra i terroristi nigeriani di Boko Haram e i guerriglieri che presidiano il deserto a sud della Libia si fa sempre più stretta, rendendo ancora più difficile e costoso il controllo del territorio da parte dei governi di paesi poveri, fragili e con confini sostanzialmente indifendibili. Anche in questo caso il conflitto non sembra mai finire.
A parte la ovvia osservazione che prima di cominciare una qualsiasi guerra ( anche quella rivolta a togliere di mezzo il più crudele dittatore ) vi dovrebbe essere almeno l’obbligo politico e morale di pensare alle conseguenze della guerra stessa, ci troviamo di fronte a un progressivo e inatteso cambiamento di qualità del terrorismo, proiettato sempre di più a controllare territori, risorse naturali e popolazioni.
Gli americani non hanno invece dedicato nessuna attenzione alle conseguenze finali della guerra irachena e altrettanto hanno fatto i francesi nel caso della Libia. Per effetto di questi errori il mondo è più insicuro.
Da un lato si è infatti follemente alimentato l’eterno odio fra Sciiti e Sunniti e, dall’altro, si è creata un’area di vuoto e anarchia, principale fonte dell’ondata degli emigranti che premono sulle nostre coste. In entrambi i casi il petrolio non è stato certo un fattore secondario nel trasformare in guerra aperta gli odii secolari ma il risultato è solo quello di fare divenire il petrolio più caro e insicuro, aggiungendo danni economici alle tragedie umane. Riguardo all’Italia possiamo solo ricordare che ci siamo docilmente accodati a due guerre che ci hanno fortemente danneggiati sia sotto il profilo politico che sotto quello economico.
Sarebbe quindi ora che le così dette grandi potenze ponessero attenzione anche alle conseguenze finali delle proprie azioni, rendendosi conto che, in un mondo globale come quello di oggi, le guerre non si vincono mai e, soprattutto, una volta cominciate, non finiscono mai.