Come finanziare il nostro futuro. Tre riforme urgenti per salvare l’Europa
Come finanziare il futuro. Le riforme urgenti per salvare l’Europa
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 18 Giugno 2009
Le elezioni europee sono passate ed è perciò il momento di pensare alla politica della nuova legislatura, con i limiti ed il realismo che deriva dalla lettura dei risultati elettorali, ma anche con la rafforzata convinzione che solo una forte politica europea potrà farci uscire dalla crisi e potrà un giorno permetterci di giocare un ruolo da attore e non da semplice spettatore nella politica mondiale.
Con le riflessioni che seguiranno non ho l’obiettivo di aprire il dibattito sulle future prospettive dell’Europa, ma di sottolineare la necessità di porre almeno in atto le decisioni prese dal Consiglio Europeo del dicembre 2005.
Tale Consiglio, presieduto da Tony Blair, raggiungeva finalmente una decisione sulle prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013, anche se con un compromesso al ribasso rispetto alle proposte messe sul tavolo 18 mesi prima dalla Commissione Europea da me presieduta.
Ad attenuare la delusione per il contenuto dell’accordo era stata inserita (non senza fatica) una clausola che dava mandato alla stessa commissione di proporre una “revisione di bilancio” (Budget Review) nel periodo 2008-2009. La prudenza pre-elettorale ha provocato il continuo rinvio di questa revisione, che, a mio parere, la crisi ha reso assolutamente indispensabile.
In quest’articolo vorrei proporre tre idee concrete e urgenti per mettere almeno in atto la programmata revisione del bilancio, dimostrando così che l’Europa esiste anche durante la crisi economica.
In effetti qualche risposta politica positiva in sede europea c’è stata, pur in presenza di grandi contraddizioni.
Gli interventi di liquidità gestiti centralmente dalla Banca Centrale Europea hanno funzionato benissimo, ma gli interventi di ricapitalizzazione bancaria, gestiti in maniera separata dagli stati, hanno creato seri dubbi perfino riguardo alla futura integrità del mercato interno. La prima lezione della crisi è che nessun paese è grande abbastanza per rispondere da solo e che una risposta europea non solo è necessaria, ma è l’unica risposta economica e politica credibile.
Il bilancio Europeo è oggi lo strumento più concreto in nostro possesso per preparare questa risposta.
Il bilancio europeo ha delle particolarità che lo rendono “unico”: si occupa solo di questioni microeconomiche e non macroeconomiche (stabilizzazione finanziaria), non ha un vero finanziamento proprio, ed è molto tradizionale e molto rigido nella sua divisione tra voci di spesa e tra anni. In quel che segue propongo di far saltare tutte e tre queste restrizioni che già in tempi normali paiono eccessive, ed in tempi di crisi paiono semplicemente una camicia di forza inutile e dolorosa.
In primo luogo la Stabilizzazione Finanziaria. Al momento non ci sono strumenti che permettono un intervento fiscale unico e neppure strumenti per un intervento coordinato a livello di Unione Europea.
La soluzione nazionale è quindi l’unica praticabile anche se contiene il rischio di fare arretrare in modo significativo il mercato interno. In questo contesto di impegni ingenti e bilanci limitati, mi sembra chiaro che una garanzia comunitaria sia preferibile ad una nazionale. Viste le cifre in gioco e vista l’esiguità del bilancio comunitario l’unico modo è l’utilizzo di Eurobonds. La Commissione Europea e i governi dovranno determinare la modalità d’uso degli Eurobonds (essenzialmente se nuovi titoli o se consolidamento sotto targa UE di titoli nazionali già emessi), ma come primo gesto politico forte del nuovo Parlamento Europeo e della Commissione ci deve essere la capacità di proporre uno strumento (gli Eurobonds) che permetta di fare stabilizzazione finanziaria a livello comunitario e non più nazionale. In altre parole che permetta all’Europa di salvaguardare il mercato interno, che, dopo l’Euro, è forse la più grande conquista degli ultimi vent’anni.
In secondo luogo il finanziamento proprio. Solo il 10% delle entrate fiscali è costituito da una componente fiscale prelevata direttamente dai cittadini, mentre il restante 90% è rappresentato da trasferimenti intergovernativi. Cambiare queste proporzioni fiscali si è rivelato nel corso degli anni politicamente impossibile anche se, a mio parere, indispensabile per il futuro dell’Unione Europea. L’emissione di Eurobonds però avrebbe come effetto collaterale positivo la possibilità per l’Unione di ritrovare, almeno parzialmente, quel contatto fiscale con i suoi cittadini che è andato perduto negli anni. Vista poi la natura volontaria della sottoscrizione degli Eurobonds, questi sarebbero una sorta di sondaggio permanente del gradimento dei cittadini e dei mercati per l’UE.
In terzo luogo l’allocazione delle spese e la flessibilità del bilancio. L’attuale distribuzione delle spese del bilancio comunitario risente molto del peso del passato, anche se importanti cambiamenti sono stati realizzati nel corso degli anni. La crisi impone una riflessione sul tipo di spese che Bruxelles deve finanziare. Basta pensare alle spese per ricerca e innovazione o alle spese ambientali che tipicamente godevano di una componente di finanziamento mista. La crisi ha da un lato aumentato la necessità di queste spese (poiché si uscirà dalla crisi solo con la ricerca, l’innovazione, l’investimento umano e ambientale come i governi hanno promesso e gli elettori hanno mostrato d’aver ben capito plebiscitando i partiti “verdi” in Europa) e dall’altro lato ha ridotto la propensione al rischio dei risparmiatori e quindi la loro volontà di finanziare investimenti non tradizionali. Il bilancio dell’UE dovrà quindi finanziare questo tipo di spese più di quanto non faccia oggi, diminuendo perciò altri capitoli di spese. Da ultimo, vista la volatilità che la crisi ha introdotto nei mercati e nei settori produttivi, il bilancio dovrà essere dotato di più grande flessibilità. Tanto quand’ero Presidente della Commissione Europea, quanto quand’ero Presidente del Consiglio italiano sono sempre rimasto negativamente impressionato da come fosse quasi impossibile operare cambiamenti tra allocazioni di spesa e/o tra anni all’interno del bilancio comunitario. Chiedo perciò un cambiamento di procedura che non impatti sui “saldi netti” di nessun paese, ma aumenti fortemente l’efficienza della spesa comunitaria in un momento in cui ogni euro deve essere speso al meglio.
Conclusione. La crisi impone alla Commissione e al Parlamento Europeo grandi cambiamenti.
Domando all’una di proporre e all’altro di sostenere e accettare tre cambiamenti importanti: di permettere all’EU di fare spese di stabilizzazione finanziaria, così da evitare la distruzione del mercato interno, di finanziare ciò con Eurobonds così da assicurare la credibilità economica e politica dell’intervento e di migliorare l’allocazione delle spese e le procedure di bilancio così da assicurare che ogni euro speso lo sia efficacemente.
Mi sembrano richieste minime, pur essendo consapevole che, nell’Unione Europea di oggi, anche gli obiettivi minimi sembrano richiedere sforzi giganteschi.
Romano Prodi