Democrazia e cittadini, la sfida del nuovo PD
Partiti regionali federati Democrazia e cittadini, la sfida del nuovo PD
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 30 Giugno 2009
Anche se tirare sassi contro i partiti è diventato un esercizio largamente condiviso, non ho mai visto funzionare una democrazia senza un ruolo forte e attivo dei partiti politici. Eppure le energie spese per mettere in pratica l’indicazione contenuta nell’ articolo 49 della nostra Costituzione sono state del tutto trascurabili. Anzi, dobbiamo constatare che sono state spese più energie a impedire che non ad accogliere l’invito dei padri costituzionali che hanno saggiamente scritto che “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale“.
Le conseguenze di questo comportamento sono di fronte agli occhi di tutti e non è un caso che in ogni competizione elettorale si moltiplichino le lamentele sulle candidature a cui i cittadini sono chiamati a dare il proprio voto. I cittadini si sentono infatti espropriati nelle loro scelte da decisioni che vengono prese con criteri assolutamente arbitrari e non comprensibili. Tutto questo è grandemente aiutato da una legge elettorale che non consente agli elettori di compiere una vera scelta del candidato, fino ad aver perfino permesso il terribile “gioco” delle “veline”.
In questa sede voglio però limitarmi ad alcune brevissime considerazioni sul Partito democratico che, come dice la parola stessa, deve fare del metodo democratico la sua bandiera e la sua ragione d’essere. Il che vuole dire rispondere ai bisogni e alla volontà dei suoi elettori e evitare che alla vigilia di ogni congresso si ripeta il miracolo della lievitazione delle tessere.
E vuole dire, inoltre, maggiore trasparenza e maggiore vicinanza tra il partito e i propri elettori.
La mia semplice proposta di oggi è la ripetizione (purtroppo dopo molti anni) di quella che feci all’onorevole De Mita quando si stava profilando un crescente distacco tra l’elettorato di alcune regioni e la Democrazia cristiana. La proposta era semplice ed elementare e cioè di costituire in ogni regione un Partito regionale (Lombardo, Laziale, Siciliano, ecc.) dotato di ampia autonomia interna, ma obbligatoriamente federato alla Democrazia cristiana nazionale e legato alle sue decisioni sui temi politici di maggiore rilevanza.
Con una ulteriore clausola, cioè che i delegati inviati dai partiti regionali al Congresso Nazionale fossero esclusivamente in proporzione dei voti riportati nelle ultime elezioni e non dei tesserati al Partito. Ho avuto in seguito più volte occasione di ripetere questa proposta e credo che oggi il Partito democratico, per affrontare con successo il futuro, abbia bisogno di riesaminare questa antica e inutilizzata ricetta, anche se con l’aggiornamento reso necessario dall’introduzione delle primarie. L’elettore ha infatti il diritto di scegliere leaders regionali che conoscano e soprattutto rispondano alla propria base territoriale e che, forti di questa appartenenza e di questa legittimazione, contribuiscano, attraverso i voti della propria regione, alla elezione dei vertici nazionali.
Appare chiaro che questa proposta non è in grado di chiudere totalmente il baratro che si è aperto fra i partiti e i cittadini, ma darà certamente un contributo positivo al controllo democratico della vita politica. Ed un contributo anche maggiore alla democrazia sarà dato dal fatto che i dirigenti del partito saranno maggiormente spinti ad interpretare le esigenze ed i problemi del territorio, rendendo il cittadino più capace di esercitare le sue funzioni di arbitro. Mi rendo conto della semplicità della proposta e della difficoltà della sua attuazione, ma penso che queste ingenuità possano essere perdonate, in quanto provenienti da un cittadino che personalmente, non trarrà alcun vantaggio dalla eventuale messa in atto della proposta stessa.