Ecco perchè la risalita sarà lenta e faticosa
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 24 dicembre 2009
In questi giorni si sente spesso parlare di ripresa dell’economia mondiale.
Se ne parla molto ma gli elementi che abbiamo oggi rendono assai dubbia questa previsione il cui fondamento, più che dai dati concreti, nasce dal fatto che, soprattutto per effetto della politica adottata dagli Stati Uniti e dalla Cina, abbiamo evitato la catastrofe.
Per fare un’analisi seria sulle prospettive di ripresa, bisogna usare saggezza ed equilibrio, tenendo debito conto delle speciali caratteristiche di questa crisi.
In primo luogo la caduta del prezzo delle abitazioni e dei valori immobiliari ha prodotto sui consumatori un “effetto ricchezza” negativo di enormi proporzioni, per cui anche coloro che non hanno visto il flusso dei propri redditi direttamente colpiti dalla crisi si sentono molto più poveri di prima e sono perciò esitanti a riprendere le precedenti abitudini di consumo.
Vi è inoltre un ulteriore elemento da tenere presente e cioè la disoccupazione e la paura di rimanere disoccupati. Il numero di disoccupati è infatti aumentato ovunque, superando i massimi livelli raggiunti nello scorso decennio ed è esperienza condivisa che la disoccupazione inizia a calare sensibilmente solo dopo almeno due trimestri dal momento in cui la ripresa si è consolidata.
Gli imprenditori cominciano infatti a assumere nuova mano d’opera solo quando la ripresa è solida. Anzi approfittano spesso della situazione di crisi per procedere alla razionalizzazione dell’organizzazione aziendale aumentando la produttività a scapito dell’occupazione.
Vi è infine un altro elemento da tenere in considerazione, e cioè i deficit dei bilanci pubblici che si sono accumulati nella maggior parte dei Paesi industrializzati, non solo negli Stati Uniti ma anche nella maggior parte dell’Europa. Anche se con una diversa urgenza fra Paesi già altamente indebitati e Paesi partiti da una situazione di equilibrio finanziario, l’esigenza di ritornare verso una situazione di normalità si impone a tutti. Per valutare quanto il peggioramento della finanza pubblica sia di ostacolo alla ripresa, basta ricordare che i disavanzi dei bilanci dei G7 sono arrivati vicino alla media del 10% del Pil, aumentando di cinque volte in due anni, mentre il debito cumulato dei Paesi dell’Ocse sorpasserà nel 2010 il 100% del loro Prodotto interno lordo.
Questo significa che il motore della finanza pubblica, che è stato così largamente usato per frenare la caduta dell’economia, può essere solo marginalmente utilizzato per accelerarne la ripresa.
Tenendo conto di tutti questi elementi e con la prudenza che bisogna sempre usare quando si tratta di previsioni, mi sembra di dovere concludere che il 2010 sarà per l’Europa e per gli Stati Uniti un anno di recupero molto lento, nel quale il segno più (che pure certifica la fine della caduta) sarà spesso preceduto dallo zero (il che certifica l’assoluta modestia della ripresa).
Progredendo a tassi così modesti ci vorranno molti anni per avvicinarsi al livello di reddito precedente la crisi.
Soprattutto per alcuni Paesi, tra i quali è da includere anche l’Italia, la caduta è stata molto forte e la velocità di recupero appare assai lenta.
Vi è inoltre un altro punto interrogativo su cui riflettere prima di parlare di ripresa, e cioè l’eventualità di una ripetizione di crisi finanziarie particolari o locali.
Tali episodi, come quelli verificatesi in Dubai o in Grecia, non hanno una dimensione tale da mettere di nuovo in crisi l’intero sistema economico, ma sono certo un elemento di malessere e una causa di ritardo della ripresa mondiale. Così come si pongono interrogativi sul fatto che il sistema bancario sia stato interamente ripulito dalle scorie del passato.
Per concludere si può dire che la ripresa è cominciata ma che la risalita sarà lenta, lunga e faticosa e richiederà un coordinamento delle politiche economiche che ancora non si vede non solo tra l’Europa e gli Stati Uniti ma anche tra i Paesi europei, dove ognuno va avanti per la sua strada, in alcuni casi come logica conseguenza delle forti diversità del proprio Paese, ma in molti casi a causa di una divergente interpretazione dell’identica realtà.
Anche per questo motivo l’Europa sarà con ogni probabilità l’ultima a riprendersi.
Non ci resta che sperare che la fredda lettura della realtà ci aiuti ad accumulare le energie e la volontà necessarie per reagire.
L’Europa ha infatti la forza per essere ancora protagonista nel mondo. Quello che manca è la volontà politica di agire uniti, abbandonando gli interessi nazionali.
ripresa dell’economia Ci auguriamo perciò che questa crisi sia almeno un buon maestro per il futuro.