Helmut Kohl, il pragmatico sognatore
Coniugare sogni e fatti la vera lezione di Kohl
Estratto del discorso di Romano Prodi pronunciato il 27 settembre 2012 a Berlino alle manifestazioni per celebrare il trentennale dall’inizio del cancelleriato di Helmut Kohl su Il Sole 24 Ore del 28 settembre 2012
“Siamo qui per celebrare un uomo che ha saputo combinare il sogno e i fatti. Helmut Kohl ha trasformato i sogni in realtà. I suoi sogni erano la riunificazione della Germania e l’irreversibilità definitiva del progetto europeo. Conoscete meglio di me il grande significato della riunificazione tedesca.
E sapete meglio di me come è stato difficile. E conoscete meglio di me le esitazioni e le riserve di molti leader mondiali. Anche Helmut lo sapeva e riconosciuto profondamente le difficoltà, ma aveva un’idea chiara: che il momento era quello, che non si sarebbe presentata un’altra occasione. Ricordo quando mi diceva come e quando aveva capito che l’ora si stava avvicinando e che bisognava essere pronti per gli ardui passi da compiere. Era stato in Germania Est e aveva individuato un nuovo, strano sentimento della gente.
Ricordiamo il timore di alcuni leader europei, e anche il timore di molti politici tedeschi: temevano che la riunificazione non si potesse fare senza spargimento di sangue e conseguenze tragiche. Helmut ha assunto il rischio e mi sono sempre chiesto come abbia fatto. Egli sentiva non solo, come tutti i tedeschi, la tragica ferita della divisione del suo Paese, ma sentiva che il rischio doveva essere affrontato non nel giro di giorni o di settimane, ma in poche ore. Per farlo è chiaro che bisogna avere una strategia, bisogna avere idee, devi costruire coalizioni e consenso. Ma bisogna avere altre due virtù.
La prima è saper semplificare i problemi, arrivare il più presto possibile e nel modo più chiaro possibile, al momento in cui la risposta può essere solo “sì” o “no”. Questa è la virtù più importante di ogni leader, della politica e degli affari. Ed è una virtù molto rara. Quando Helmut dice “sì” e ne è convinto, allora è inarrestabile. Ma il tuo “sì” può solo tradursi in realtà se il tuo prestigio personale è così alto che le tue azioni sono accettate e la gente ti segue anche se non è del tutto convinta. E questa è stata la sua seconda virtù, il talento senza uguali di Helmut Kohl: con le sue azioni e la sua leadership è stato capace di convincere anche gli interlocutori più riluttanti, dentro e fuori la Germania.
Quando la Germania è stata riunificata, non ero ancora in politica e, come economista, non ero d’accordo con l’idea di un tasso di cambio uno-a-uno fra il marco della Germania ovest e della Germania est. Ma quando ho capito perché l’aveva fatto, dopo essere entrato in politica, ho appoggiato tutte le decisioni necessarie a contribuire alla crescita della Germania appena unificata. E ho fatto tutto il possibile perché questo progetto storico indispensabile fosse accompagnato dai sacrifici necessari dei tradizionali partner europei della Germania, in termini di crescita e di tassi d’interesse.
Abbiamo lavorato fianco a fianco nella costruzione dell’euro. Kohl, nonostante quello che si è detto nelle interpretazioni successive, era perfettamente consapevole delle difficoltà del Trattato di Maastricht e dell’euro. Abbiamo analizzato insieme i rischi, abbiamo sollevato molte volte il problema della necessità di una strategia forte e coerente in cui l’unione monetaria fosse accompagnata da una crescente unione politica ed economica. Ricordo bene le nostre conversazioni: eravamo pienamente convinti che un processo irreversibile era cominciato, anche se, in quel momento, era politicamente impossibile fare tutto. Ma la strategia era chiara, coerente e realistica e perfettamente consapevole della necessità di passi successivi. Molte volte abbiamo discusso a fondo di quel che bisognava fare in seguito.
Nel frattempo, però, l’Europa è cambiata: dopo gli anni della speranza, siamo entrati negli anni della paura: la paura della globalizzazione, la paura dell’immigrazione, la paura della Cina.
Ma, quel che è peggio, la mancanza di fiducia nel nostro futuro. Siamo entrati poco a poco in una situazione in cui le democrazie europee erano spaventate dai partiti populisti e sono diventate schiave di decisioni di breve termine.
Le fondamenta dell’euro erano sane e solide. L’euro ha funzionato perfettamente per sette anni. L’euro piano piano si stava affiancando al dollaro e incontrava il favore delle nuove potenze emergenti, a partire dalla Cina. Quel che era sbagliato non erano le fondamenta dell’euro, ma alcune decisioni successive. E in seguito è intervenuta una crisi finanziaria ed economica imprevista e senza precedenti, partita dagli Stati Uniti. Questa sta devastando l’Europa a causa della nostra mancanza di unità.
L’Unione europea è tuttora una grande potenza nel mondo: la prima in termini di prodotto interno lordo a fianco degli Stati Uniti, la prima nelle esportazioni, grazie soprattutto alla performance della Germania, la prima nello sforzo di mantenere un welfare state sostenibile. L’area dell’euro è nettamente più sana degli Stati Uniti in termini di deficit pubblico. E la prospettiva di rimettere in ordine i conti non appare certo migliore negli Usa di quanto appaia in Europa. Nonostante questa realtà, l’Europa è considerata perdente di fronte alle nuove sfide globali. Semplicemente perché non siamo uniti, perché abbiamo paura di affrontare le nuove sfide dell’inevitabile globalizzazione.
Come economista industriale – e insegnando adesso negli Stati Uniti e in Cina – capisco bene il significato e le conseguenze dell’emergere dell’Asia. La supply chain asiatica, che unisce Cina, Giappone e Corea del sud, nonostante le tensioni politiche, sta crescendo in dimensioni, tecnologia, produttività. Il “distretto Asia” ha lanciato la sfida al mondo. Solo uniti possiamo rispondere a questa sfida, solo uniti possiamo dare una speranza e un futuro ai nostri figli e ai nostri nipoti.
E solo la Germania può essere il fulcro e il motore della risposta europea. Non solo grazie alla riunificazione politica e per la sua capacità di fare le riforme, ma anche per la forza senza precedenti che ha acquisito con la creazione dell’euro. La Germania, per esempio, non ha mai avuto un surplus delle partite correnti così enorme, 200 miliardi di dollari negli ultimi 12 mesi, secondo solo alla Cina, mentre gli Stati Uniti hanno un deficit di oltre 450 miliardi.
Perché, nonostante tutto questo, l’Europa è oggi considerata il malato dell’economia mondiale? Perché non siamo uniti. La nostra sovranità è limitata dal fatto che le nostre politiche sono dominate dalla paura della speculazione internazionale. Solo gli Stati Uniti e la Cina sono totalmente immuni da questo pericolo. Paradossalmente, potremmo concludere che in tutti gli altri Paesi il vero primo ministro, il vero presidente, è Mister Spread. Solo mettendo assieme la nostra sovranità possiamo riconquistarla. Un’Europa forte è negli interessi di tutti noi, e quindi dobbiamo lavorare insieme per un’Europa più forte.
Vi assicuro che l’Italia sta facendo tutto il possibile (e il presidente del Consiglio, Mario Monti, lo ha ripetuto ieri alle Nazioni Unite). Rispetterà tutti gli impegni nei confronti dei partner europei, anche se sappiamo che ci saranno conseguenze in termini di crescita e occupazione.
Abbiamo un obiettivo comune. L’obiettivo di un’Europa forte e unita che Helmut ha voluto e sostenuto così intensamente.
L’Europa è nata da un’idea politica: dare pace, democrazia e prosperità a un continente segnato da secoli di guerre. Ma i suoi progressi non sono stati solo economici: Schengen, Maastricht, l’allargamento e l’euro hanno avuto profonde conseguenze politiche. Ma il vero risultato, fare un passo indietro dalla sovranità nazionale e concentrare le decisioni a livello europeo, sta procedendo molto lentamente e anzi ha innestato la marcia indietro nelle menti degli europei. La crisi ha fatto rimergere risentimenti e stereotipi nazionali che avremmo voluto dimenticare per sempre. L’Europa sta andando nella direzione opposta a quello che era il nostro obiettivo.
I Paesi in difficoltà sanno che c’è una medicina amara da prendere e che questo è inevitabile, ma questo comporta un deterioramento in termini di crescita e di occupazione. Ricreare i presupposti per la crescita dev’essere l’imperativo dell’unione monetaria, dell’unione fiscale, dell’unione bancaria, dell’unione politica. I Paesi in crisi devono sapere che possono contare sulla solidarietà europea, senza abbandonare la linea del rigore.
Abbiamo bisogno di una visione di lungo periodo. Se Helmut avesse pensato solo a domani e non alle generazioni future, non avremmo avuto la riunificazione tedesca, e non avremmo avuto l’euro. Mi conforta sentire Angela Merkel parlare sempre di più di unione politica. Sono convinto che solo la continuità fra la politica di Helmut Kohl e di Angela Merkel possa salvare la Germania e l’Europa, insieme.”