Il G20 di Parigi: “Chi si contenta gode”
Meglio succhiare un osso di un bastone
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 22 febbraio 2011
“Chi si accontenta gode”: il richiamo a questo vecchio proverbio italiano è stato il pensiero che mi è venuto alla mente dopo avere meditato sul soddisfatto commento del ministro Tremonti dopo la riunione del G20 di Parigi. Mentre la sponda Mediterranea del mondo brucia, e la crisi rischia di travolgere anche la Libia, l’agenda della conferenza era già divenuta meno ambiziosa, fino a prevedere solo una discussione sugli indicatori di cui tenere conto prima di prendere le decisioni economiche utili per riequilibrare i rapporti fra le economie dei diversi Paesi del mondo.
La convergenza si è inoltre materializzata solo sui punti riguardo ai quali tutti erano già sostanzialmente d’accordo. Quando infatti si è cercato di convincere Pechino a mettere nel conto degli attivi gli interessi generati dalle ingenti riserve accumulate e di inserire tra gli indicatori il tasso di cambio delle monete, non si è arrivati ad alcuna conclusione. Il che dimostra due cose. La prima che nessuna grande decisione sui temi economici internazionali può essere presa senza l’accordo con la Cina. La seconda che la Cina, mentre è disposta ad accettare la progressiva diminuzione del proprio surplus nei confronti dell’economia mondiale, non accetterà mai che altri le impongano le modalità per raggiungere questo obiettivo.
In parole semplici la Cina vuole decidere in modo autonomo se l’equilibrio dovrà essere raggiunto attraverso un aggiustamento del cambio o attraverso un aumento dei consumi e degli investimenti interni.
Per raggiungere questi obiettivi di politica interna, il governo cinese vuole essere libero di usare nel modo che crede più opportuno le enormi riserve che ha accumulato in questi anni. Questa posizione è a mio parere assolutamente immutabile nel tempo. Lo è ancora più oggi per il fatto che l’attivo della bilancia commerciale cinese ha già cominciato a ridursi e, ancora più, per il fatto che Germania e Giappone stanno giocando nel un ruolo squilibrante non certo inferiore a quello cinese.
A Parigi, inoltre, nulla è stato deciso riguardo alla proposta di un’imposta sulle transazioni finanziarie per frenare la speculazione e solo un auspicio di futuri interventi è stato dedicato al problema del rincaro dei prodotti alimentari che sta preoccupando (e in molti casi infiammando) una grande parte del terzo mondo. Riguardo all’Italia la soddisfazione espressa deriva dal fatto che tra i criteri per misurare gli squilibri dell’economia mondiale si dovrà tenere conto anche del debito delle famiglie e del tasso di risparmio privato, parametri nei quali l’Italia si piazza onorevolmente in tutti i confronti mondiali.
È probabile che nel corso della discussione questo sia stato un risultato di prestigio: bisogna tuttavia sottolineare che ben difficilmente da esso ne possono derivare risultati pratici. Tremonti sa infatti perfettamente che per diminuire il deficit pubblico utilizzando la ricchezza privata bisogna passare attraverso l’aumento delle imposte, che è proprio quello che egli non vuole.
Capisco che i margini per ottenere risultati più concreti erano davvero ristretti: sotto quest’aspetto la soddisfazione del ministro Tremonti è assolutamente comprensibile. Quando da ragazzo brontolavo perché non avevo ottenuto quanto desideravo, mia madre usava infatti ammonirmi dicendo che nella vita è comunque meglio succhiare un osso che un bastone.