Il Mondo multipolare occasione per l’Europa
Gli equilibri del futuro
Il Mondo multipolare occasione per l’Europa
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 24 dicembre 2011
L’anno che sta per chiudersi ha assistito ad eventi di politica internazionale che molto influenzeranno il futuro del mondo.
Tra questi voglio citare in primo luogo la fine ufficiale della guerra in Iraq. Un avvenimento seguito con poca enfasi dai media europei sia perché era un evento ormai scontato sia perché da molti anni questa guerra, che aveva sconvolto la coscienza europea, era considerata un problema solo americano. In effetti la guerra in Iraq doveva essere il sigillo della potenza americana, segnando l’inizio di un nuovo secolo di dominio. Doveva essere cioè il riconoscimento della superiorità degli Stati Uniti sia come potenza militare che come leader del progresso della democrazia nei confronti di ogni minacciosa potenza dittatoriale. Sotto il primo aspetto il conflitto doveva concludersi in pochi mesi e si è trascinato per otto anni mentre, sotto il secondo aspetto, le armi di distruzione di massa che minacciavano gli equilibri mondiali, non sono mai state trovate. Ora, mentre si contano i morti e i feriti, ci si accorge anche che il costo di questa guerra è stato un elemento non certo secondario nel mettere in difficoltà il bilancio americano. Ci si accorge cioè che esso ha contribuito a mutare i rapporti di forza nello scacchiere mondiale, rafforzando inoltre l’Iran, tradizionale nemico degli Stati Uniti, mentre i sanguinosi conflitti interni iracheni sembrano continuare senza fine.
Il secondo grande avvenimento è indubbiamente la primavera araba, con l’ondata di grandi speranze verso un’evoluzione democratica che, per ora, sembra concretizzarsi soltanto in Tunisia, mentre l’Egitto vive ancora in una transizione senza fine. Il lungo processo elettorale vede prevalere, oltre ogni previsione, i partiti islamici. Non solo i fratelli mussulmani, che negli ultimi anni si sono avvicinati ad una politica più moderata e di progressivo riconoscimento dei diritti civili, ma anche i salafiti, saldamente orientati verso uno stato teocratico. Intanto l’Egitto soffre, la disoccupazione aumenta, il turismo è a zero, i capitali fuggono, la violenza cresce così come aumenta la tentazione di appellarsi all’esercito perché ponga fine a questa transizione senza fine. Naturalmente non è nemmeno necessario sottolineare come, al di là di grandi discorsi, l’Europa non faccia nulla per aiutare il cammino della primavera araba.
Il terzo avvenimento importante dell’anno riguarda la guerra di Libia. Anche in questo caso l’Europa si è presentata divisa ma la grande novità è che il peso della guerra non è stato sopportato quasi interamente dagli Stati Uniti, come nel caso dell’Iraq e dell’Afghanistan, ma è stato equamente diviso con i paesi europei partecipanti ed è stata affidata a loro ( in questo caso particolarmente alla Francia) la guida politica e la conseguente visibilità del conflitto. A consuntivo Francia. Gran Bretagna e Stati Uniti hanno coperto ciascuno circa il 15% del costo della guerra e l’Italia il 10% ( più le basi logistiche). Anche se non si può da questo concludere che gli Stati Uniti si disinteressino del Mediterraneo ( se non altro per la presenza di Israele) è doveroso osservare come abbiano preferito condividere il peso di questa pur importante azione militare con gli alleati europei. Naturalmente non con l’Unione Europea perché le posizioni e gli interessi dei suoi componenti marciano, anche in questo caso, in direzione diversa.
L’ultimo grande avvenimento di politica estera del 2011 non riguarda né una rivoluzione né una guerra ma il lungo viaggio di Obama e della signora Clinton nel Pacifico. Accanto ad un supplemento di impegno militare diretto ( una nuova base militare in Australia) il viaggio è stato totalmente dedicato a costruire amichevoli rapporti con i paesi che gravitano intorno alla Cina e che hanno tensioni o contenziosi con la Cina stessa. Così è stato per il Vietnam come per le Filippine, l’Indonesia , il Giappone e perfino con la Cambogia, finora indissolubile alleato della Cina. Tutto questo in linea con l’opinione pubblica americana, sempre più calamitata ma altrettanto impaurita dall’ascesa cinese. Il Pacifico è ormai il centro di gravità dell’economia e della politica mondiale ma, anche in questo caso, gli Stati Uniti si rendono conto di non avere le risorse per controllare direttamente uno scacchiere così vasto e cercano perciò di costruire alleanze sempre più solide con coloro che in un modo o nell’altro hanno paura della Cina.
I quattro avvenimenti brevemente elencati non sono strettamente connessi fra di loro e forse non fanno parte di una politica deliberata e organica ma segnano con certezza l’accelerazione del passaggio da un mondo americano a un mondo tendenzialmente bipolare, con una contrapposizione crescente fra Stati Uniti e Cina. Eppure vi è ancora spazio per un equilibrio multipolare anche perché Stati Uniti e Cina hanno tra di loro legami economici e finanziari troppo forti e non hanno quindi, per ora, alcun interesse ad uno scontro aperto. Dubito tuttavia che l’Europa di oggi sia in grado di inserirsi in questo spazio.