Il ritratto di Mao e il monumento in pietra di Confucio
Piazza Tiananmen, appare Confucio: l’arte di vincere senza fare la guerra
Articolo di Romano Prodi pubblicato con alcuni tagli su Il Messaggero del 23 gennaio 2011
Anche se non vi si respira l’atmosfera postmoderna di Shanghai, ogni volta che si ritorna a Pechino si trova qualcosa di nuovo.
Si può trattare di un museo, di una sala da concerto, di un tratto di metropolitana o, semplicemente, di qualche grappolo di nuovi grattacieli, ma qualcosa di nuovo c’è sempre.
La novità di questi giorni è tuttavia un po’ diversa dal solito. Proprio sulla piazza di Tian’anmen, cuore della memoria storica e centro del potere della Cina, è comparsa improvvisamente una grande statua di Confucio. Una statua imponente, alta quasi otto metri. L’antico filosofo vi è rappresentato con l’aspetto di un massiccio saggio contadino mentre quasi osserva, da poche decine di metri di distanza, il ritratto di Mao. Di colui che, qualche decina di anni fa, aveva ordinato di cancellare dalla Cina i suoi insegnamenti e persino la sua memoria.
Ancora più interessante è constatare che questo evento di non piccola portata simbolica sia passato quasi inosservato da parte dei media cinesi e sostanzialmente ignorato dagli osservatori internazionali. La statua si è posata nell’angolo della piazza come se ci fosse sempre stata. Eppure si tratta di un passo simbolicamente molto importante anche se la “riabilitazione” era cominciata da anni, da quando si sono chiamati col nome di Confucio gli istituti che, in tutto il mondo, si propongono di promuovere la lingua e la cultura cinese.
Se riflettiamo sul fatto che le fondamenta della società, secondo Confucio, erano basate sul concetto di pace, armonia e rispetto per i superiori, questi eventi ci mettono di fronte a un cambiamento di non poco conto: le tradizioni cinesi, che erano state abbandonate da Mao e poi travolte dalla rivoluzione culturale, non solo ritornano ma sembrano costituire un punto di riferimento fondamentale della modernizzazione della Cina e del suo disegno di esercitare un ruolo di punta nella storia dell’umanità, come era stato fino a due secoli fa.
In politica interna questo dovrebbe spingere verso la costruzione di una società “moderatamente prospera”, per usare le parole di Confucio. In politica estera questo concetto si traduce nella tensione verso un mondo multipolare, con la pacifica convivenza di diverse modernità, a partire da quella cinese e quella occidentale. Nelle discussioni politiche ed accademiche questi obiettivi vengono naturalmente presentati come un cammino da percorrere in modo graduale, tenendo presente il vecchio detto cinese che il miglior generale è quello che vince senza fare la guerra.
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Forzando un po’ le cose e volendo attribuire un significato politico più generale a questi eventi (aiutati anche dalle dichiarazioni del presidente Hu durante la sua visita a Washington) si potrebbe essere spinti a pensare ad una Cina che, nel suo rapidissimo processo di cambiamento, procede con modalità in qualche modo assimilabili a quelle adottate a Singapore, dove la modernità si è affermata attraverso un modello esplicitamente confuciano, imposto per decenni in modo paternalisticamente inflessibile da Lee Kuan Yew, sotto il cui governo Singapore è diventato uno degli Stati più prosperi, efficienti e tecnologicamente avanzati del mondo.
Mi rendo conto che questo paragone si spinge troppo avanti perché un modello valido per una città-stato di cinque milioni di abitanti non può essere automaticamente applicato ad un paese di un miliardo e trecento milioni di abitanti. Ed è ancora più difficile metterlo in atto nell’infinita complessità della società cinese, dove Shanghai e Pechino convivono con le campagne ancora arretrate, dove la province e le grandi comunità locali hanno esigenze ed obiettivi difficilmente compatibili fra di loro e dove l’organizzazione delle fondamentali protezioni sociali richiede risorse reperibili con grande difficoltà anche in un paese capace di così grandi progressi come la Cina.
Di fronte a una sfida tanto grande è chiaro che i concetti di pace, armonia e rispetto per i superiori verranno messi a dura prova ed esigeranno doti straordinarie di flessibilità e di intelligenza politica. La statua di Confucio ne vedrà perciò delle belle, anche se per ora si limita ad osservare che tra lei e il ritratto di Mao si frappone l’ulteriore ostacolo di un fila ininterrotta di automobili praticamente ferme giorno e notte nel traffico infernale di Pechino. Per ora le autorità locali hanno deciso di porre rimedio alla paralisi del traffico limitando il numero delle immatricolazioni attraverso l’estrazione a sorte dei possibili nuovi proprietari di automobili. Una decisione di indubbia saggezza confuciana che, tuttavia, non è certo in grado di risolvere in modo duraturo i problemi del traffico di una delle più grandi metropoli del mondo.