Incognite sulla ripresa. Germania non sarà la locomotiva che speravamo

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 11 luglio 2010

ROMA (11 luglio) – Se non è mai facile prevedere i modi e i tempi di uscita da una crisi, questo esercizio è ancora più difficile quando, contemporaneamente alla crisi economica, cambiano i rapporti di forza tra i protagonisti della vita politica. Mentre tutti infatti sono d’accordo che l’Asia (e in minor misura l’America Latina) non ha assolutamente subìto alcuna conseguenza dalla crisi e continua a crescere con immutato ritmo di sviluppo, non vi è alcuna interpretazione condivisa riguardo al futuro degli altri protagonisti dell’economia mondiale.

Negli Stati Uniti si nota certamente uno sforzo per mettere in ordine lo squilibrato rapporto tra consumi e risparmi. Esso è accompagnato da segni di ripresa di alcuni settori (tra i quali primeggia l’automobile) ma l’andamento dell’occupazione non fa pensare all’inizio di un nuovo ciclo di sviluppo stabile e duraturo. Le preoccupazioni riguardo a quanto può accadere dopo l’estate tendono a crescere: si parla sempre più dell’ipotesi di una nuova caduta dell’economia prima di iniziare una duratura ripresa futura. Inoltre su questa possibile ripresa, proprio per confermare quanto la politica incida sull’economia, incombe sempre l’incubo della Cina. In conseguenza di questo incubo si pensa che l’economia americana dipenda più dalla rivalutazione dello yuan sul dollaro che non dalle misure prese dal governo per mettere in ordine i conti del settore pubblico, per porre in sicurezza i bilanci delle banche e per incentivare la ripresa dell’occupazione. Si ha l’impressione che la paura di vedere messo a dura prova il primato degli Stati Uniti nel mondo prevalga rispetto alla fiducia sulla ripresa del Paese.

In Europa la situazione è ancora più complicata perché i segni di ripresa sono più deboli e contradditori rispetto a quelli americani. Deboli perché in tutta l’area dell’euro si può parlare di una crescita intorno all’1% nel 2010 e poco superiore nel 2011. Di fronte alla caduta degli scorsi due anni non si può certo concludere che si tratta di dati confortanti. Essi inoltre divergono da settore a settore e da Paese a Paese. Vanno male le automobili, ma vanno a gonfie vele i beni strumentali diretti verso l’Asia, va meglio la Germania ma hanno pesanti problemi la Spagna e la Grecia.

Inoltre, anche all’interno dell’Europa, la crisi mette in luce un grande cambiamento nei rapporti di potere tra le diverse nazioni. Semplificando l’analisi si può dire che è finito il lungo e difficile processo di riorganizzazione della Germania dopo l’unificazione. Questo Paese emerge sempre più forte rispetto agli altri grandi Paesi europei. Soprattutto l’equilibrio tra la Francia e la Germania (equilibrio che era stato a lungo almeno formalmente tenuto in vita) si è definitivamente spezzato.

La produzione industriale tedesca ha ormai distanziato senza confronti quella degli altri Paesi e le esportazioni tedesche, dopo aver invaso i mercati europei, conquistano crescenti quote in tutti i mercati mondiali, per cui oggi il tasso di disoccupazione germanico è ormai in linea con quello precedente la crisi.

Non possiamo parlare però di forte ripresa tedesca perché, a fianco del boom delle esportazioni, rimane una stagnante domanda interna da parte di consumatori timorosi riguardo al futuro e colpiti dalle decisioni restrittive del governo.

La Germania, cioè, esporta sempre di più ed è sempre più forte ma non sarà la locomotiva della ripresa europea che noi avevamo sperato. O meglio, la Germania è una locomotiva che per correre forte e sicura, ha deciso di staccare i vagoni anche a costo di accrescere i sacrifici dei propri cittadini, salvo poi investire i surplus accumulati dalle proprie banche nei buoni del Tesoro della Grecia e constatare poi che questi vengono messi a rischio da una politica avventurosa.

Di fronte a questa Germania, la Francia non ha interesse a seguire la stessa politica e non ha la forza di costruirne una alternativa. Dato che tutti gli altri Paesi (a partire dall’Italia) stanno a guardare senza fare proposte o costruire alleanze, non ci dobbiamo stupire che la nostra ripresa sia lenta, difficile e incerta.

Essa non può infatti essere costruita su politiche nazionali divergenti che, proprio perché tali, non hanno la forza di cambiare l’andamento dell’intera economia europea.

Non credo che il problema sia di facile soluzione proprio perché non è mai facile prendere atto dei cambiamenti della storia. Non lo è per gli Stati Uniti nei confronti della Cina, non lo è per la Francia nei confronti della Germania. Quanto a quest’ultima essa non sembra voler prendere atto che, se non si tiene conto del contesto europeo in cui si opera, non si riesce nemmeno a portare il proprio Paese verso un cammino di stabile crescita. Non credo infatti che nemmeno i tedeschi siano felici di comprimere a lungo i propri consumi e il proprio tenore di vita. Anche se non sono esperto in materia, credo infatti che nessuno nasca masochista. Nemmeno i tedeschi.

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
luglio 11, 2010
Italia