L’unione politica che non c’è. Se L’Europa rinuncia a salvare la Grecia
L’unione politica che non c’è. Se L’Europa rinuncia a salvare la Grecia
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 23 marzo 2010
Anche per un osservatore attento è diventato impossibile seguire le politiche europee sulla crisi greca. Ogni giorno la soluzione sembra a portata di mano ma il mattino seguente le cose ritornano in alto mare.
Quindici giorni fa, quando il primo ministro greco ha incontrato prima Angela Merkel e poi Nicholas Sarkozy, non sembrava rimanere alcun ostacolo ad un intervento concordato fra i principali paesi europei. Non si trattava di una vera e propria nuova politica comune ma si andava almeno verso un accordo capace di portare a soluzione un problema che, se lasciato a lungo sul tavolo, poteva provocare conseguenze negative irreparabili alla moneta unica europea. La dimensione quantitativa dell’intervento necessario non era infatti al di fuori della portata dei paesi forti dell’euro, data la relativa modestia dell’economia greca rispetto a quella dell’intera area monetaria europea.
Qualsiasi persona di buon senso pensava che non fosse nemmeno immaginabile mettere a rischio la moneta unica, e quindi una parte fondamentale della costruzione europea, per un problema che poteva essere risolto senza eccssivi sacrifici.
Tutti questi ragionamenti di buon senso non tenevano tuttavia conto del clima politico interno alla Germania dove si sta affermando la convinzione di esser il solo paese a sostenere il peso dell’economia europea e a provvedere ai bisogni e alle mancanze degli spensierati partner.
Deve essere invece chiaro che la Germania, che è stato paese preveggente e generoso nel processo di creazione dell’Euro, è stato anche quello che più ne ha goduto le conseguenze. Questo è avvenuto certamente per merito della Germania stessa che ha saputo modernizzare con moto accelerato le proprie strutture produttive e che, nello stesso tempo, è stata anche in grado di produrre riforme non secondarie nel funzionamento del mercato del lavoro e del proprio sistema previdenziale.
Un comportamento che le ha permesso di diminuire il costo del lavoro per unità di prodotto dell’1,4% all’anno per tutti gli anni del nuovo millenio, acquistando quindi uno strepitoso vantaggio concorrenziale nei confronti di tutti gli altri paesi.
Come risultato, l’attivo delle partite correnti della bilancia commerciale tedesca ha raggiunto la strepitosa cifra del 5,2% del prodotto nazionale lordo. Per comprendere bene il significato di questa cifra basta ricordare che essa è superiore perfino all’attivo cinese, che si colloca attorno al 5%.
Ebbene più della metà di quest’attivo proviene dai rapporti con gli altri paesi dell’area dell’Euro che, in assenza della moneta unica, avrebbero tranquillamente continuato a svalutare come facevano in precedenza, rendendo in tale modo impossibile l’accumulazione dell’attivo su cui oggi si siede la Germania. Il primo paese ad essere interessato a costruire una corazza di solidarietà attorno alla moneta unica dovrebbe essere quindi la Germania. Si è creata invece un’atmosfera politica del tutto opposta, con una opinione pubblica sempre meno “europeista”, spinta in questa direzione dai principali “media” che si dilettano a immaginare un euro in completa dissoluzione, fino al punto che un recentissimo sondaggio del Financial Times ci dice che il 40% dei tedeschi sarebbe in favore dell’uscita della Germania dall’area dell’Euro.
Come è diventato ormai una consuetudine consolidata delle democrazie europee, il governo tedesco si è messo in gara per cavalcare l’opinione pubblica. I pur giustificati sermoni alla Grecia sono diventati tuoni quotidiani e i possibili modesti interventi sono presentati come un’impossibile violazione di un’etica internazionale di cui la Germania sarebbe il solo legittimo paladino.
Il nuovo governo greco, da parte sua, ha accettato un severissimo piano di rientro dal deficit, il rispetto del quale sarebbe la migliore garanzia per il futuro delle regole di convivenza monetaria. A questo punto ci si dovrebbe quindi concentrare nel definire gli aspetti tecnici del modesto pacchetto dei prestiti bilaterali necessari e nel mettere a punto i sistemi di sorveglianza in grado di obbligare la Grecia a mantenere gli impegni assunti. Al contrario è cominciata una cacofonia di dichiarazioni discordanti che mette ancora una volta a nudo la crisi delle istituzioni e europee e la difficoltà di un qualsiasi accordo tra i diversi governi, anche a causa delle crescenti diverganze fra Germania e Francia.
Se si continua in questo modo, alla Grecia non resterà altro che ricorrere al soccorso del Fondo Monetario Internzionale. Non che vi sia nulla di scndaloso in questo perchè il Fondo esiste proprio per venire incontro alle necessità straordinarie di tutti i suoi membri. Non vedo quindi nulla di improprio nel fatto che la Grecia faccia appello a chi è più disponibile ad aiutarla. Ritengo però che questo provocherebbe un danno gravissimo non tanto alla Grecia quanto all’immagine dell’Unione Europea e alla forza dell’Euro. Mancano solo due giorni all’inizio del Consiglio Europeo che dovrebbe prendere una decisione in materia ma tanta è la confusione sotto il cielo europeo che non sappiamo nemmeno se il problema sarà inserito nell’agenda del vertice.
Mi chiedo a questo punto quale catastrofe deve capitare per farci capire che nessuna nazione europea, nemmeno la grande Germania, può sopravvivere da sola nel nuovo mondo globalizzato.