La crisi tunisina può estendersi all’Egitto. E dall’Europa nessun aiuto concreto
Prodi: non c’è solo la Tunisia, attenzione all’Egitto
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 16 gennaio 2011
ROMA (16 gennaio) – Credo che sia bene riflettere a fondo su quanto è avvenuto in Tunisia e credo che sia ancora più importare legare questi avvenimenti alla situazione generale del Sud del Mediterraneo. Un’area non solo a noi geograficamente vicina ma con la quale condividiamo aspetti sempre più importanti della nostra economia e della nostra sicurezza. Il fatto che la tensione sia scoppiata in Tunisia in modo così rapido e violento da scalzare uno tra i regimi più longevi e quello ritenuto più solido di tutta l’area, non può passare inosservato. Sotto il regime semidittatoriale di Ben Ali, la Tunisia, pur senza la ricchezza petrolifera dei paesi vicini, ha mostrato tassi di sviluppo positivi, ha saputo attrarre investimenti stranieri ed ha costruito l’area turistica meglio organizzata di tutta la sponda Sud. La Tunisia è così riuscita ad avvicinare la magica soglia di diecimila dollari di reddito pro-capite, oltre la quale un Paese sottosviluppato non viene più considerato come tale.
Proprio a questo punto, nonostante il ferreo controllo di tutta la società da parte dei servizi segreti e della polizia di cui Ben Ali andava tanto orgoglioso, la rivolta ha vinto in pochi giorni. La prima osservazione è quindi che non è vero che progresso e democrazia non siano tra loro correlati perché quando si cresce da un punto di vista culturale ed economico diventa sempre più difficile controllare le nuove reti di comunicazione, imprevedibili per la profondità e l’ampiezza dei legami che esse sono capaci di costruire in pochissimo tempo. La rete è stata lo strumento nuovo della rivoluzione ma non la su causa.
La rivoluzione ha preso infatti corpo nel momento in cui il crescente malcontento nei confronti della corruzione del regime di Ben Ali si è unito al malessere originato dal diffuso e rapido aumento dei prezzi dei beni alimentari. Non possiamo certo escludere che, specialmente nel sud del paese, il fondamentalismo islamico abbia giocato un ruolo importante, facendo soprattutto leva sul malcontento nei confronti della corruzione di regime. Tuttavia, secondo tutti i dati disponibili, si tratta di una sollevazione che si inserisce nel filone storico delle rivolte sociali, cioè di quelle che chiedono pane e lavoro. E lo chiedono in un momento in cui il lavoro è sempre meno ed il pane costa sempre di più.
Non è infatti un caso che questa rivolta sia scoppiata quando tutti i prezzi dei prodotti alimentari di base (escluso il riso) sono ormai vicini alla terribile punta raggiunta nel 2008 ma che, a differenza di quanto avvenne allora, non si pensa che il loro aumento possa arrestarsi. Non è quindi casuale che i fatti di Tunisia siano stati accompagnati da comportamenti paralleli nella vicina Algeria, anche se gli esiti non sono fino ad ora stati gli stessi.
L’attenzione più acuta deve essere tuttavia rivolta all’Egitto dove, durante la precedente crisi alimentare, le tensioni sociali furono fortissime e non si tradussero in esplosione solo perché il governo,durante tutti i mesi della crisi, dedicò enormi risorse a sussidiare il prezzo del pane e, soprattutto perché la crisi fu di breve durata. Oggi l’Egitto cresce bene, ha buone prospettive perché questa crescita continui in futuro, ma la delicatezza e la fragilità del suo momento politico lo rendono estremamente vulnerabile di fronte alla disoccupazione giovanile e, soprattutto, di fronte al diffuso aumento del prezzo del pane. Ed è bene non dimenticare che l’Egitto ha novanta milioni di abitanti, quasi nove volte la popolazione della Tunisia, e una presenza diffusa, anche se scarsamente visibile,di fondamentalisti islamici.
Per completare il quadro mi sia permessa una breve digressione al di fuori del Mediterraneo, verso il Sudan dove, fra qualche giorno, si conoscerà il risultato del referendum, che quasi certamente sancirà la separazione fra Nord e Sud del Sudan. Tra le altre conseguenze di questa separazione arriverà ( prima o poi) la ridiscussione sull’uso delle acque del Nilo, ormai insufficienti per le richieste di tutti i paesi rivieraschi. Il che significa riaprire un nuovo fronte di lotta per il pane.
Ebbene, di fronte a queste evoluzioni e a queste prospettive la politica europea per il Mediterraneo è piena di promesse ma sostanzialmente vuota di fatti. Le risorse messe a disposizione sono a tutt’oggi irrisorie e ogni proposta di creare robuste istituzioni comuni e paritarie fra nord e sud (Banca del Mediterraneo e Università ) non sono state nemmeno prese in considerazione dai Paesi dell’Unione, che preferiscono procedere coltivando solidi rapporti commerciali bilaterali.
Alle promesse dei vertici non seguono mai le realizzazioni. Il processo va ormai avanti da così tanto tempo che sta perdendo non solo di credibilità ma anche di attenzione da parte dei paesi del Sud. Eppure qualche anno fa continuavamo a ripetere che una forte politica di vicinato avrebbe aiutato lo sviluppo e la democrazia dei Paesi della sponda Sud e la sicurezza di quelli del Nord. Mi chiedo se ancora ci crediamo.