La tragedia giapponese incrina l’odio tra i due grandi popoli asiatici
Se la tragedia fa uscire dall’odio
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 13 Marzo 2011
La finestra cinese non manca mai di offrire spunti di riflessione su quello che avviene oggi e, soprattutto, su quanto può avvenire domani. In un solo paio di giorni ho infatti avuto l’occasione di leggere cose per me scontate attraverso un’ottica del tutto nuova. Cominciamo con i fatti del Nord Africa. Essi emergono dalle conversazioni cinesi come un’occasione per criticare la politica americana e per sottolineare come questi eventi siano la prova della perdita di peso degli Usa nel mondo arabo. Come ha affermato il più autorevole inviato cinese in Medio Oriente, quando i valori e gli interessi degli americani entrano in conflitto tra di loro, essi “scelgono brutalmente i propri interessi”. Per questo motivo, pur essendo grandi amici di Mubarak, “non hanno esitato un attimo ad abbandonarlo.
Lo hanno abbandonato appena si sono accorti che la gara era da lui perduta. L’opinione che qui prevale è che quindi la Cina debba andare avanti con la sua antica dottrina della non ingerenza, che rende la sua azione più flessibile ed adattabile ad ogni circostanza. Non si pensi che questa sia solo propaganda astratta: si tratta di una precisa strategia per intensificare la politica di progressiva sostituzione dell’influenza americana nel Mediterraneo e nel Medio Oriente attraverso un’azione più profonda e meno intrusiva. A questo scopo vengono spese molte parole nel definire come un’assoluta eccezione il voto favorevole della Cina alla sospensione della Libia dalla Commissione dei Diritti Umani delle Nazioni Unite. La Cina intensificherà perciò la sua attenzione al Mediterraneo anche se l’evacuazione urgente di oltre 35 mila lavoratori dalla Libia la costringerà a valutare con più attenzione i rischi connessi alla presenza di tanti operatori cinesi in tutte le parti del mondo. La cosa che più mi ha fatto impressione è dovere constatare che l’Europa non è nemmeno nominata in nessuna discussione che riguardi quello che veniva chiamato il “mare nostrum”. Si considera scontato che anche nel Mediterraneo la partita si giochi solo fra gli Stati Uniti e la Cina. Quando ci accorgeremo di questo anche in Europa?
Non mi ha costretto meno a riflettere una discussione di due ore sulla democrazia e il ruolo dello Stato, di fronte a duecento studenti, due terzi cinesi e un terzo di altri Paesi (tra cui purtroppo nessun italiano). Ogni oratore ha manifestato le proprie preferenze e ciascuno ha naturalmente difeso il suo modello di riferimento. È stato tuttavia sorprendente che il più autorevole esponente accademico cinese, dopo aver espresso l’opinione che la sua generazione abbia solo lo scopo di preparare quella futura al voto attraverso un aumento della cultura, dell’informazione e della ricchezza, si sia rivolto agli esponenti europei dicendo che, per accelerare questo processo, era nostro dovere “disegnare un modello di democrazia che valga la pena di adottare”. Se non siamo capaci di esercitare un ruolo nel Mediterraneo, speriamo almeno di essere in grado di dare una risposta positiva a questa richiesta.
Di tutt’altro tenore, ma ugualmente istruttivo è stato un altro incontro con gli studenti in una delle nuove aree universitarie di Shanghai. Non solo per il solito lungo e fresco dibattito sull’economia globale con gli studenti dell’Accademia del Commercio Estero, ma per un episodio minore accaduto nel dopo-dibattito. Vedendo dalla finestra una serie senza fine di edifici, aule e laboratori, ho naturalmente chiesto che cosa fossero. Mi è stato risposto che si trattava dell’Istituto Superiore del Settore Tessile, dove migliaia di studenti si preparano per portare avanti innovazione e progresso tecnologico in questo campo in cui noi italiani siamo stati per tanto tempo all’avanguardia. Ho pensato in quel momento che i primati si possono forse avvicinare con i bassi salari ma si consolidano solo con il progresso e l’innovazione. E ho pensato quindi a quello che si dovrebbe fare in Italia per salvare e rinnovare questo ed altri settori produttivi che, divenuti anziani, possono essere almeno in parte rilanciati con la preparazione di risorse umane capaci di ricominciare la gara. E ho anche pensato che con queste novità si deve fare i conti, con la coscienza che anche nei settori del “made in Italy” abbiamo certo qualcosa da insegnare ma anche molto da imparare. Chiuderci in noi stessi serve solo ad assicurarci la sconfitta.
Ho infine assistito, quasi con sorpresa, alla profonda partecipazione ufficiale e popolare alla tragedia del terremoto giapponese. Mi ero infatti tante volte dovuto rendere conto del profondo odio che ancora esiste tra i due grandi popoli asiatici, un odio che non è stato mai spezzato da un processo di conciliazione simile a quello avvenuto in Europa. Forse questa grande tragedia ha cominciato a sciogliere i cuori come i politici non sono mai riusciti a fare.