La Turchia di Erdogan: fortissima concorrente ma anche potenziale alleata
La sfida di Erdogan
Turchia ponte fra due mondi
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 26 giugno 2011
Il governo turco, presieduto da Tayyp Erdogan, è in carica dal novembre 2002.
In questo spazio di tempo ha totalmente cambiato il paese, suscitando, in questa sua azione, grande ammirazione e grande timore.
Prima di tutto grande ammirazione per i risultati ottenuti nello sviluppo economico e nella modernizzazione del Paese. Non solo il tasso di sviluppo è stato straordinario, tanto da fare raddoppiare il Prodotto Nazionale Lordo in meno di nove anni, ma tutta la Turchia è fisicamente cambiata, con la costruzione di nuove strade, ferrovie, aeroporti, scuole e ospedali, mentre gli insediamenti industriali si sono estesi fino alle zone più periferiche dell’immenso paese.
Anche per effetto dei massicci investimenti esteri e per la qualità della nuova generazione di dirigenti e funzionari, la Turchia è ora uno dei protagonisti dell’economia e della politica mondiale, una nuova potenza regionale. E come potenza regionale ha cominciato a comportarsi. Prima di tutto ha usato i negoziati con l’Unione Europea per modernizzare le istituzioni, introducendo le riforme di cui aveva bisogno, allargandone la base democratica, garantendo una maggiore libertà di espressione e assicurando, seppure in modo inferiore rispetto alle attese e alle necessità, nuovi diritti alle minoranze etniche.
In politica estera la Turchia è ascesa al ruolo di potenza regionale tramite la dottrina elaborata dal ministro degli esteri Davutoglu, una dottrina che si riassume nell’elementare programma di evitare qualsiasi conflitto con i paesi vicini. Una dottrina molto semplice, che ha però cambiato in modo radicale l’assetto politico dell’area, costruendo un rapporto stretto con l’Iraq, con l’Iran, con i paesi dell’area caucasica e, seppure con profonde tensioni negli ultimi giorni, con la Siria. In parallelo è stata impostata una politica economica che vede le imprese turche presenti in modo crescente dai Balcani fino agli sconfinati paesi dell’Asia Centrale. Ed a questa si affianca una presenza culturale sempre più penetrante, anche perché spesso fondata su profonde affinità storiche e linguistiche.
La Turchia ha cioè approfittato del suo importante ruolo nella Nato, della sua indispensabilità nei confronti degli Stati Uniti (come ponte verso il mondo islamico) e della sua nuova forza economica, per costruire una politica di inaspettata autonomia. Una politica non certo antioccidentale ma che si è distaccata da Israele fino ad arrivare, nello scorso maggio, allo scontro aperto nel mare di fronte a Gaza, un’evidente conseguenza della nuova amicizia nei confronti dei propri vicini.
Nel mondo multipolare è arrivato quindi un nuovo protagonista, costruito sul partito di Erdogan, un partito di stretta osservanza religiosa ma sufficientemente tollerante e capace di creare una nuova elite, accanto a quella costruita da Kemal Ataturk. La trasformazione del ruolo politico ed economico della Turchia è ormai tale che l’ingresso nell’Unione Europea non è più visto come un obiettivo essenziale e prioritario ma come una tra le diverse ipotesi che il paese ha davanti.
I ripetuti successi hanno però messo Erdogan in una classica tentazione presidenziale, che si è espressa tramite atteggiamenti perlomeno discutibili nei confronti dei giornalisti e tentativi di riforma della Costituzione in senso autoritario. Le elezioni politiche del 12 giugno (passate quasi inosservate in Italia forse anche a causa della coincidenza con i referendum) assumevano quindi un’enorme portata.
Se il partito di Erdogan avesse raggiunto i 330 seggi avrebbe infatti potuto (pur con il passaggio di un voto popolare) emendare la Costituzione permettendo a Erdogan di allargare e approfondire il proprio potere oltre gli attuali limiti. L’obiettivo non era certo impossibile anche perché la legge elettorale turca prevede uno sbarramento del 10% e, quindi, spazza via tutti i partiti minori. I risultati elettorali hanno confermato la grande popolarità di Erdogan, il cui successo si è tuttavia dovuto fermare a 326 seggi. Erdogan è quindi anche oggi molto forte ma non onnipotente.
Questa è una garanzia per tutti e segnerà il probabile proseguimento della politica fino ad ora praticata.
Prepariamoci quindi a vedere una Turchia ancora più attiva nei nostri mercati, una Turchia fortissima concorrente nei Balcani e nel Mediterraneo, proprio nelle aree nelle quali è maggiore la presenza italiana. Ma anche un potenziale alleato per le nostre imprese che vorranno essere presenti nel Caucaso e nell’Asia Centrale sposando le nostre conoscenze tecniche con la profonda esperienza turca in quei mercati. Prepariamoci perciò ad avere rapporti sempre più stretti con una Turchia che avrà bisogno dell’Europa non certo in misura maggiore di quanto l’Europa avrà bisogno della Turchia.